Giulio Tremonti e Mario Draghi hanno idee diverse, se non contrapposte, sulla riforma del sistema finanziario internazionale. Il governatore lavora a nuove regole tecniche, ed annuncia al Forum economico di Davos: «Vogliamo avere un’autorità, o un’agenzia che abbia il potere, i fondi, il budget e la competenza per gestire i fallimenti bancari in modo ordinato». Un percorso che però non convince il ministro dell’Economia. Dalle nevi casalinghe dell’Appennino modenese, Giulio Tremonti ricorda che nella finanza e nell’economia «non bastano le regole tecniche che, anzi, sono dannose perché fanno perdere tempo. Nella montagna incantata di Davos - aggiunge, con un pizzico di sarcasmo - il discorso di maggior spessore è stato quello del presidente francese Nikolas Sarkozy, che ha invocato una nuova Bretton Woods».
Tremonti sottolinea che non si tratta di divergenze personali, ma di «una profonda diversa visione del mondo: c’è chi dice che non è necessario passare dai Parlamenti, mentre - ha concluso - io sostengo che è fondamentale l’impegno della politica che prende forma nei trattati». E sempre a proposito di regole, annuncia che la contestata norma introdotta al Senato sul tetto agli stipendi dei manager delle società quotate sarà modificata: «Il tema è importante, ma abbiamo fatto sapere che è una norma incostituzionale», e dunque alla Camera cambierà.
I banchieri e i regolatori che si sono incontrati a Davos hanno almeno concordato su un punto: le misure sul capitale, la liquidità e la cornice legale delle banche devono essere coordinate a livello globale. «Rispetto a una base comune - spiega il governatore Draghi - ogni Paese deve avere la libertà di essere più esigente, libero di essere più esigente rispetto alle regole di base. Ma non più debole. Ho la sensazione - aggiunge - che oggi le banche comprendano di più le implicazioni per il sistema rispetto a quanto accadeva in passato». Il progetto del Fsb, su cui l’organismo lavora da cinque-sei mesi con contatti ai massimi livelli, si basa su tre pilastri: ridurre il rischio di fallimento degli istituti di grande dimensione (detti too big to fail); ridurre la probabilità di tali fallimenti; mettere in campo meccanismi per una gestione ordinata di questa eventualità.
Anche secondo il presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, avere regole finanziarie globali è essenziale. «Ci siamo impegnati - osserva il banchiere centrale francese - a migliorare le regole perché non possiamo più permetterci di avere un settore bancario fragile come un tempo. Senza un sistema di regole globali, correremmo il rischio di una catastrofe». Nel momento in cui alcuni fallimenti dovessero apparire inevitabili, ha spiegato Trichet, allora «sarà necessario minimizzare l’impatto di un collasso finanziario, con il coordinamento tra le diverse istituzioni. È un lavoro molto complesso».
Mentre la polizia svizzera usava cannoni ad acqua per disperdere i manifestanti che lanciavano palle di neve contro la sede del Forum, banchieri, regolatori e politici (come il ministro delle Finanze francese Christine Lagarde, il Cancelliere dello scacchiere britannico Alitair Darling, il consigliere economico della Casa Bianca Larry Summers, e il commissario europeo all’Economia, Joaquin Almunia), si ritrovavano a porte chiuse per discutere della riforma finanziaria. «Su molti aspetti abbiamo trovato un terreno comune», ha affermato l’amministratore delegato della Deutsche Bank, Josef Ackermann. Per il Ceo della Borsa di New York, Duncan Niederauer, «è la prima volta in cui le parti sono andate oltre la retorica». In realtà, il percorso della riforma bancaria globale è molto più accidentato di quanto si dica. Per questo molti chiedono che il cammino proceda a passo più spedito. «Bisogna muoversi più veloci, e andare più lontano - ha chiarito il direttore generale del Fmi, Dominique Strauss-Kahn- coprendo non solo le banche, ma l’intero sistema finanziario. Proporremo - ha aggiunto - un metodo per tassare il sistema e farlo contribuire ai rischi che fa correre alla collettività». L’obiettivo dev’essere quello di chiudere in un anno», gli ha fatto eco l’economista Nouriel Roubini.
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