Il dramma di Andrea: rischia la paralisi «E di Vito non sa nulla»

Erano euforici Vito e Andrea. Per Natale avevano affittato con altri amici una casa in montagna: «Andrea scia benissimo - racconta il padre, Vincenzo Macrì - adesso speriamo che possa tornare almeno a camminare». Andrea è ricoverato al Cto di Torino: è stato operato sabato pomeriggio, tornerà sotto i ferri domani. Andrea non sa ancora che Vito, il banco vicinissimo al suo, non c’è più. «Gli ho parlato sabato, prima dell’intervento - confida il padre - e subito mi ha chiesto di Vito. Io gli ho spiegato che era ricoverato, però lui aveva percepito benissimo che Vito stava male, molto male. Quando i soccorritori sono entrati in classe e si sono avvicinati, lui continuava a ripetere: non aiutate me, andate prima da Vito, io me la cavo». Vincenzo Macrì si commuove, trattiene a stento le lacrime, confessa tutta la sua angoscia: «Ho parlato a lungo con i medici, una vertebra si è frantumata, il midollo ha subito una compressione in un punto delicatissimo, il ragazzo mi ha sussurrato prima di entrare in sala operatoria che non sente più le gambe dal ginocchio in giù. Non sappiamo, e forse non lo sapremo per settimane, se questa insensibilità è dovuta al colpo o se Andrea ha perso l’uso delle gambe».
Andrea adesso dorme: tecnicamente è in coma farmacologico. Il padre cerca di contenere l’ansia che lo scava. Vincenzo Macrì è un personaggio pubblico: è stato comunista, corrente migliorista, poi ha partecipato alla fondazione dell’Ulivo, poi con molti dubbi e qualche scetticismo ha fatto la sua parte per la nascita del Partito democratico, sostenendo posizioni liberal - vicine a quelle dei Salvati e dei Morando - spesso assai impopolari dalle parti del Pd, specie in Piemonte. «La politica - spiega - mi sta dando molte preoccupazioni, ma oggi penso solo al ragazzo».
Andrea, Vito, sua sorella Paola, Alessandro, ancora due o tre compagni di liceo: un gruppo di giovani inseparabili. Uniti dalla comune passione per la Juve, spesso collegati fra loro via messenger, come usa fra i ragazzi di oggi, e pronti a farsi compagnia nelle serate del fine settimana: un’uscita in discoteca, una puntata in un pub, qualche volta l’uno dormiva a casa dell’altro, sempre sotto il controllo dei genitori. «Sabato - racconta Alessandro - all’intervallo sono andato a trovare Vito. C’era anche Andrea. Ci siamo accordati sulla serata. Volevamo vedere la partita della Juve in un pub. Ci siamo dati appuntamento alla fine delle lezioni. Dieci minuti dopo Vito è morto e Andrea ci è andato vicino. Eravamo sempre insieme. Li avevo conosciuti a Monaco due anni fa, in gita scolastica, e mi ero trovato benissimo con tutti e due. Erano due gocce d’acqua: gli stessi gusti, la stessa simpatia, la stessa schiettezza».
Adesso Alessandro pensa solo al funerale di Vito. Adesso Andrea deve combattere: «Ultimamente - riprende il padre - avevo dei contrasti con lui, i diciassette anni sono un’età complicata, voleva la sua autonomia, poi ti capita una cosa così, dove i ragazzi non hanno alcuna responsabilità. Era appena finito l’intervallo, mi ha detto che ha sentito sbattere la porta, poi è venuto giù tutto.

Andrea mi parlava spesso delle crepe nei muri, ogni tanto protestava: perché non mettono a posto la scuola? Però chi poteva pensare a quel tubo, nascosto dentro il soffitto? Boh, da qualche parte ci dovrebbero essere i disegni stanza per stanza della scuola, ma chissà se ci sono veramente». Scuote la testa: «Ormai... Vorrei andare a salutare Vito, ho sentito sua sorella per qualche istante. E devo sperare: il medico mi ha raccomandato di non fasciarmi la testa. Chissà che Andrea non torni a sciare».

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