Il Dream Team è lo psicanalista dell’America.Vienidameestaiserena. Raccontami le tue paure e io te le farò passare. Qual è il tuo incubo, la Cina? Sì, quella. Gli ori, gli argenti, i bronzi. Il medagliere. Il terrore di non essere più i primi. La fine del secolo americano dello sport sbatte contro la forza di LeBron James. Tranquilli ragazzi.C’è lui e ci sono gli altri. Scacciate i fantasmi, perché il basket è una certezza infinita. È la stoppatacontroilnuovomondoche vuole schiacciare: non si passa, amici. Gli Stati Uniti si specchiano in se stessi: siamo ancora forti, siamo ancora potenti, siamo ancora migliori. Ventisette punti di distacco contro la Francia sono l’antidepressivo naturale, la valeriana che mette a nanna sereno un Paese angosciato.
Calma, che non è finita. Non qui, non ora. La pallacanestro parla con la grandezza dei suoi campioni. Vent’anni fa a Barcellona furono loro a schiacciare in faccia al mondo la loro potenza: alla prima diedero 68 puntiall’Angola.Allorac’eradarassicurare la gente che il basket non aveva cambiato padrone. C’era stato il fallimento di Seul, con la sconfitta contro l’Unione Sovietica in finale. L’Americadeciselaterapia:mandiamo le stelle Nba e finisce la storia. La storia, invece, cominciò: quella di unasquadramitologicachehacambiato definitivamente il senso delle Olimpiadi. Vent’anni dopo gli Stati Uniti chiedono al Dream Team un conforto diverso.Qui non c’è in ballo il basket, ma il dominio del pianeta. La battaglia per la sopravvivenza delpotereUsasull’Olimpiade.LaCina ha vinto Pechino. Giocava in casa: 51 ori contro 36.L’America disse: «Manoiabbiamo110medaglietotali e loro 100 ». Qui a Londra la paura è il sorpasso doppio, il terrore che Pechino non sia stato un episodio, ma l’inizio di una nuova era.
I ragazzi del Dream Team sono i Ghostbuster:tengono in vita l’immagine di un’egemonia perenne. Nonc’ègara,nonc’èpartita.
C’è solo da aggiornare i punteggi: i 27 punti di oggi sono parenti dei 68 del 1992 perché qui contro c’era la Francia, che può ambire a una medaglia, che mette dentro gente Nba.Ventisettepuntisono la promessa al Paese: finché ci saremo noi le Olimpiadi non smetterannodiessereamericane. Culturalmente, sportivamente. Nulla come il Dream Team coccola se stesso e il pubblico olimpico.C’è un’attesa infinita, c’è la voglia di esserci a ogni partita, c’è l’idea di assistere a qualcosa di diverso: lo sbarco sulla terra dei marziani. Prima della partita lo speakerdellaBasketballArenachiede al pubblico: chi è qui per gli Stati Uniti d’America? Non c’è uno solo che non si alzi in piedi e dica: io. Lo fanno anche i francesi. Cantano il loro inno e poi si mettono a cuccia. Ripassate tra vent’anni e vediamo se sarà cambiato qualcosa. Sembrano tutticomeireducidel1992checontinuano a raccontare la loro storia di spettatori protagonisti di uno show altrui. Vent’anni fa il tedesco Hansi Gnad disse: «Il massimo sarà non perdere l’onore». Il croato Dino Radja peggio: «Potrebbero dargli l’oro e mandarci via». La sensazione non è cambiata. Tutti schiavi di un padrone che non molla. La Spagna potrà contrastarli? Ma va. Se l’America fa l’America si può davvero evitare di giocare.
Il problema non sono gli spagnoli, allora. Il basketgiocaperglialtri,perquelpezzod’Americachehapaura. Laginnastica, i tiri, le arti marziali. Gioca contro la rimonta della Cina. È quella chefamaleagliUsa. Perchélosportè direttamente proporzionale al resto: economia, politica, diplomazia, influenza globale. LeBron James, Kobe Bryant, Kevin Durant sono la roccaforte: ci sono loro e gli storici chenons’arrendonoallavulgatadell’imminente sopravanzata dell’influenza cinese sul pianeta.
L’America si agita ogni volta che vede i numeri: se prende comeriferimento il ’92 ha la netta sensazione di essere sottounavalanga che non si può fermare. A Barcellona gli Stati Uniti presero 108 medaglie, la Cina 54. La metà. Oggi le previsioni dicono che alla fine di questi Giochi gli Usa avranno 99 medaglie e i cinesi 97. Pareggio totale, ma dominio orientale sugli ori, come già quattro anni fa a Pechino. Due gare sono troppo poche per non avere paura, per non essere sopraffatti dall’incubo sportivo dell’impero cinese. Serve qualcosa. Serve qualcuno. Già, ma chi? Una volta nonna America trovava un nipotino veloce come nessuno, lomettevainpistaesiprendeva la vetrina delle Olimpiadi. L’atleticahacopertomagagne, fallimenti, sconfitte con i russi. Ora no. Cento e duecento metri sono affare dei giamaicani. Allora chi?C’è il nuoto,ecco. C’era Phelps e c’è ancora.Con lui Ryan Lochte. E poi loro. Servono Le-Bron e Kobe e gli altri del Dream Team. Popolari nell’universo quanto in America: gli unici credibili perché fenomenali. Uno spettacolo unico che cancella le paure:vogliono l’oro e vogliono vincere per distacco con chiunque. Per dare prestigio, forza, coraggio all’America dello sport. Giocheranno la finale l’ultimo giorno dell’Olimpiade. Meglio: l’ultima immagine può essere quella che resta nella memoria, quella che il Paesesiportaalettoprimadiaddormentarsi.
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