Francesco Cramer
da Milano
La falce e martello scalcia. Ce lo dice un sondaggio effettuato per il Giornale dalla Ferrari Nasi & Grisantelli. I ricercatori hanno tastato il polso a militanti, elettori, simpatizzanti di Rifondazione comunista e ne hanno raccolto lo sfogo. Uneruzione di insulti ha sepolto gli alleati di governo.
Le domande spaziavano dalle opere pubbliche alle missioni allestero, dal regime di Cuba allimmigrazione. Ma alla richiesta di connotare in una sola parola i vicini di seggiola a Palazzo Chigi, ecco che il popolo comunista ha dato il meglio di sé. Veri e propri ceffoni ai «cugini» del Pdci, definiti «stalinisti», «opportunisti», «dogmatici». I principali eredi del vecchio Pci sembrano essere ancora dilaniati dallo sbrego tra «cossuttiani» e «bertinottiani» da cui, nel 1998, nacque il Partito dei comunisti italiani. Una ferita rimasta aperta, slabbrata dalle sciabolate tra cugini. I rifondaroli tacciano gli scissionisti di essere «parolai», «confusi», «incoerenti» e «inutili».
Duri e puri, i bertinottiani non possono manifestare maggior indulgenza verso i diessini, parenti oramai lontanissimi. Le offese più blande vengono lanciate da chi li definisce «accomodanti», «lontani dalla loro storia», «moderati». I più, dalla base, li bollano con epiteti che per un comunista più che accuse paiono condanne: «borghesi», «centristi», «liberali». Qualcuno pensa alla barca a vela e ai mocassini su misura di DAlema e liquida quelli della Quercia come «snob». Qualcun altro riflette sulle liaison con le banche, la grande industria, e la finanza e sibila «corrotti». Nessuno sconto neppure ai vicini in tante manifestazioni: i Verdi. Quelli del «Sole che ride» sono «finti», «dei cagnolini». Abbaiano ma non mordono, insomma. Meno duro chi li definisce «leggeri», «noiosi» e «voltagabbana».
Paradossalmente, meno graffianti sono i giudizi sui «margheritini». I rutelliani sono tacciati di essere «cattolici», «democristiani», «solo amministratori». Quasi musica per le orecchie dei centristi. Ma, riesumando vecchi arnesi dialettici, ecco le accuse di rimanere «servi degli Usa», «compromessi», «democristiani», «senza riferimento politico». Pugni chiusi, in piena faccia agli «amici» di coalizione.
Ma il sondaggio rivela altro del popolo di Rifondazione. Una delle loro icone sembra finalmente scricchiolare. Alla domanda sul futuro di Cuba, per loro agognato paradiso del quarto stato, più della metà degli intervistati (51,5 per cento) ha risposto di auspicare una «transizione a un sistema più vicino alla socialdemocrazia». Mentre soltanto il 38,2 per cento spera che «Cuba continui ad esser retta da un regime di tipo castrista». Anche latteggiamento nei confronti delle grandi organizzazioni internazionali è mutato, anche se dolorosamente. Sulla missione Onu in atto in Libano, la base è spaccata in due. Per il 44,8 per cento il compito dei caschi blu in Medio Oriente sarà un «fallimento»; identica percentuale di chi giura che invece sarà un «successo». Se, però, ci si sposta ad est, le operazioni di peace keeping rimangono un tabù. SullAfghanistan, per esempio, solo 17,3 per cento degli intervistati è «daccordo con il rifinanziamento della missione», mentre i contrari sono ben otto su dieci (76,4 per cento). Lacerante, invece, resta il tema immigrazione, soprattutto per quanto riguarda i Centri di accoglienza temporanea. Il partito è diviso tra lala movimentista che pretende assieme ai più radicali di smantellarli tutti, e lala politica che vorrebbe lasciarli attivi. «I Cpt non vanno chiusi ma bisogna migliorarli», chiedono poco più di cinque su dieci (55,5 per cento). «No, vanno chiusi», ribatte il 38,9 per cento. Da ultimo, le grandi opere infrastrutturali.
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