Roberto Scafuri
da Roma
Torna la politica, annuncia Massimo DAlema alla platea di Firenze. Tornano dunque «lagrime, sangue e m...», secondo il celebre enunciato di Rino Formica. Soprattutto si vedono lagrime, per il momento. È la celebrazione del «gregario» vincitore di tour, del «mediano» che dopo una vita di stenti riceve il Pallone doro, quella che chiude la seconda giornata programmatica della Quercia. Il presidente sa toccare certe corde di violino: «Mi ricordo come stavamo quattro anni fa - dice - e vedo come stiamo ora... Siccome la leadership si conquista sul campo, certo che come stiamo ora è merito di tanti, ma credo che senza Piero Fassino e il suo lavoro non ci sarebbe stato...». Manco rivedesse la sua tata, ecco allora Piero scattare e cingere Massimo tra le lunghe braccia. Sgorgano copiose lagrime fassiniane, che sollecitano ancora una volta la platea capace di commuoversi persino con Bersani.
Resiste invece DAlema, forgiato da self control sovietici. La sua mozione degli affetti, oltre al giusto tributo per uno allevato in casa e sospinto sul trono del Botteghino, significherà anche laddio di Fassino al ministero degli Esteri, per qualche tempo vagheggiato. La re-investitura sigla la permanenza dellinfaticabile Piero al lavoro che gli riesce meglio, il vaso di coccio infrangibile tra vasi di ferro destinati a miglior sorte. DAlema e Veltroni, ex inseparabili nemici, ormai vedono un destino appagante allunisono: uno verso le politiche internazionali, dove sarà più facile capire il suo genio, laltro verso le leadership italiane quando Prodi lascerà la scena.
Quella fiorentina di ieri vive sui loro due interventi. Se vogliamo invertiti, rispetto al sol dellavvenire che si prospetta. Veltroni di più ampio respiro, legato a due priorità che gli son care: «La lotta alla povertà e la ricostruzione di un sistema di speranze e certezze nei giovani», dice Walter, perché «il riformismo non è riformismo se non è di popolo, è solo esercizio accademico se non immerge se stesso dentro la drammaticità di questa condizione...». DAlema parla piuttosto da politico razionale-istituzionale. «È finita la lunga stagione dellantipolitica, quella che ha dominato dagli anni 90 e che ha influenzato anche noi... e che si chiude con una fase interpretata nel modo migliore da Berlusconi». A DAlema piace lironia e stuzzica il premier con «la prova del budino viene mangiandolo e il risultato è incommestibile...», visto che «ha arricchito le sue aziende parapubbliche bloccando le privatizzazioni».
Il presidente ds si dilunga poi sul rapporto tra Stato e Chiesa, attribuendo a questultima la legittimazione a intervenire, perché «il confronto ci può arricchire». Dunque non soltanto è «necessario e legittimo» che le gerarchie vaticane si facciano sentire, ma un «rigurgito anticlericale sarebbe il miglior regalo ai clericali». Alla Chiesa, sostiene DAlema, «va chiesto un reciproco riconoscimento di valore», in quanto da noi non ce «nessun relativismo etico». Il presidente ds si proclama assertore di «grandi e importanti innovazioni in senso liberale», così che «liberalizzazioni e giustizia sociale coincidano» in un «riformismo che non sarà dallalto» come quello di cui «siamo stati prigionieri qualche volta nel centrosinistra». E se Veltroni vuole puntare «a convergenze tra le culture riformiste per garantire a Prodi la possibilità di governare», la linea iper-liberale di DAlema già si concretizza, a Firenze, con ladesione del vicepresidente di Confindustria, Andrea Pininfarina. Entusiasta al condizionale: «Se sarete capaci di dare fiducia e credibilità al Paese, ci troverete al vostro fianco». Una presa di posizione accolta come una manna dai ds presenti. Un po meno dai tanti, delusi, che in queste settimane abbandonano il partito e che a Firenze non ci sono.
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