La sindrome del Golfo fa meno paura. Il rischio di un fall out finanziario su larga scala provocato dalla possibile insolvenza del Dubai dopo la richiesta di moratoria per un debito da 54 miliardi, sembra ridimensionato.
A registrarlo è il sismografico delle Borse europee, scosse giovedì da un terremoto costato 150 miliardi di euro e ieri capaci di risalire la corrente malgrado landatura incerta di una Wall Street a mezzo servizio dopo la pausa imposta dal Thanksgiving Day. Ventiquattrore sono bastate ai listini per meglio mettere a fuoco le difficoltà dellEmirato e capirne la portata, seppur con le inevitabili approssimazioni, sul sistema bancario. Un impatto, a quanto pare, circoscritto agli istituti asiatici come Standard Chartered Bank. Il coinvolgimento del sistema creditizio italiano, come già accaduto ai tempi del virus sub prime e dei suoi derivati, è invece marginale. Rassicurazioni in tal senso sono giunte dal direttore generale di Bankitalia, Maurizio Saccomanni («lesposizione è molto contenuta e non cè alcuna preoccupazione»), dal numero uno dellAbi, Corrado Faissola (implicazione «estremamente marginale o inesistente») e da quello della Consob, Lamberto Cardia, che ha parlato di «serenità al momento assoluta». Alcune delle principali banche sono uscite allo scoperto per confermare che Dubai non rappresenta un problema. Nulla è lesposizione di Mps, Ubi e Banco Popolare, irrilevante quella di Unicredit, mentre lad di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera, ha liquidato largomento ricordando che «noi operiamo in tutto il mondo, non cè nulla che ci porti a fare un commento in particolare». Alcune banche straniere come Ubs, Crédit Suisse, Bnp e Deutsche Bank hanno inoltre escluso ricadute negative sui bilanci a causa delle difficoltà del mini Stato islamico.
La crisi del Dubai è stata anche oggetto di una conversazione telefonica tra il premier britannico Gordon Brown e il governatore di Bankitalia, Mario Draghi, interpellato in qualità di leader del Financial stability forum. «Ho parlato con Draghi nel mio ruolo di presidente del G20 - ha spiegato Brown - e ritengo che siamo soddisfatti che con le misure messe in atto per monitorare quanto sta accadendo, possiamo essere certi che si tratti di qualcosa di contenibile e localizzato».
Le cifre sullammontare complessivo delle esposizioni bancarie verso lemirato sono ancora «ballerine» e prive dellufficialità, ma vengono quantificate da unanalisi della Bri (Banca dei regolamenti internazionali) in oltre 87 miliardi di dollari. Un altro studio di Royal Bank of Scotland (Rbs) colloca a quasi 50 miliardi i finanziamenti erogati dagli istituti inglesi al Paese arabo. Proprio Rbs gestiva, fino al gennaio 2007, 2,28 miliardi di dollari di investimenti finanziari per conto della società degli Emirati e Hsbc, a fine 2008, aveva unesposizione di 17 miliardi di dollari. La Borsa di Londra è comunque riuscita ad archiviare la seduta in rialzo di quasi un punto percentuale, mentre Francoforte ha messo a segno un +1,27% e Parigi un +1,15%. Ancora meglio si è comportata Piazza Affari (+1,3% il Ftse Mib), dove tra i titoli bancari più bersagliati giovedì dalle vendite ha guidato il rimbalzo Unicredit (+3,10%), seguita dalla Popolare di Milano (+2,15%) e dal Banco Popolare (+1,91%). Al termine di una seduta dimezzata, a Wall Street il Dow Jones è arretrato dell1,48% e il Nasdaq dell1,73%. Tutto sommato, danni contenuti. La Casa Bianca ha fatto sapere di «osservare da vicino» la situazione del Dubai, ma lattenzione degli analisti è concentrata soprattutto sulla stagione dello shopping natalizio, avviata ieri con il Black Friday. I primi segnali sono incoraggianti: le interminabili code viste ieri fuori da negozi e grandi magazzini lasciano ben sperare in una tenuta dei consumi. Cè intanto chi si interroga sui motivi che hanno indotto lEmirato alla richiesta choc di una moratoria del debito.
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