Mario Vanacore, figlio di Pietrino, lex portiere suicida dello stabile di via Poma dove il 7 agosto del 1990 fu uccisa Simonetta Cesaroni, è intervenuto in collegamento telefonico nel corso della registrazione della trasmissione «Porta a Porta» che andra in onda stasera.
«Era amareggiato, distrutto, non aveva paura che potesse uscire fuori qualcosa di strano, ma sentiva il peso di averci involontariamente coinvolto in questa situazione e lo faceva stare male», ha detto al telefono. Qualche perplessità sulla fine del padre, Mario Vanacore ha amesso di averla: «Sono molto confuso, qualche dubbio mi è venuto e ce lho tuttora, ma di questo se ne occuperà la magistratura. Lultima volta lho sentito due tre giorni prima del suicidio, sembrava sereno e tranquillo, non era scosso. Sono passati ventanni che potrebbero averlo portato a decidere di fare una cosa del genere». Mario Vanacore ha poi escluso lipotesi che il padre si sia tolto la vita perché sapesse qualcosa di mai confessato. «Una o due volte, in passato, gli ho chiesto se sapesse qualcosa, se fosse stato minacciato da qualcuno e lui mi rispose: non lavrei mai nascosto a nessuno se avessi saputo qualcosa. In questa storia chi ha pagato finora è stato solo mi padre. Forse - ha aggiunto - il suo carattere chiuso può aver fatto pensare che nascondesse qualcosa». Nel corso della registrazione della trasmissione è intervenuto anche lavvocato, Antonio De Vita, legale del custode: «Se me lo avesse chiesto gli avrei consigliato di avvalersi della facoltà di non rispondere, perché per la prima volta in vita mia anche io sono esasperato». Riguardo poi alle due telefonate che la sera del 7 agosto del 90 furono fatte dallufficio di via Poma a Mario Macinati, factotum di Francesco Caracciolo di Sarno, Vanacore ha sottolineato che «nessuno ha mai detto che a farle è stato Vanacore». «Lo ha sostenuto il pm nella sua tesi - ha concluso - ma le tesi non sono niente».
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