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Ducati, Rossa a due ruote a lungo oscurata da Rossi

La doppietta di Capirossi in Giappone e Malesia è storica: nell’era Valentino nessuno aveva mai vinto 2 Gp di seguito

Ducati, Rossa a due ruote a lungo oscurata da Rossi

Benny Casadei Lucchi

Valentino onnivoro ha oscurato tutto. In Giappone, la Ducati ha vinto e si è solo e soprattutto parlato di Rossi che aveva mancato l'appuntamento con il primo match ball mondiale, finendo addirittura a terra e centrando l'incolpevole Melandri. Sette giorni dopo, in Malesia, ha vinto di nuovo la Ducati e si è parlato quasi esclusivamente di Valentino che, concludendo secondo a sandwich tra Loris Capirossi e il suo compagno Carlos Checa, aveva finalmente chiuso i conti iridati, conquistando il suo settimo mondiale. «Abbiamo trionfato», dissero in quel di Tokyo gli uomini Ducati seduti felici e scontenti davanti a una piastra e a qualche etto di carne di kobe. «Abbiamo conquistato il Giappone dei colossi motociclistici, abbiamo sbancato Motegi, circuito di prova e di proprietà della Honda, e tutti, voi tutti, parlate solo di Valentino caduto...», aggiunsero. Vero. E la settimana dopo, stavolta nel torrido di Sepang, davanti ai resti di un povero iguana investito in pista: «Abbiamo sbancato anche la Malesia, mettendo due Ducati sul podio, una davanti e una dietro a Valentino Rossi, ma sappiamo perfettamente che parlerete solo di lui campione del mondo». Vero. A voler chiosare, ci sarebbe un terzo aspetto che ha fatto incacchiare - simpaticamente, s’intende - gli uomini della Ducati: e cioè che nell’era Valentino, nessuno pilota e nessuna squadra aveva mai centrato una doppietta di fila. Solo loro, eppure è tutto passato quasi sotto silenzio.
Perché la Rossa a due ruote capitanata in pista dall’ingegner Claudio Domenicali ha scelto il momento peggiore per conquistare lo storico uno-due; non poteva però scegliere momento migliore per lasciare un buon ricordo nel cuore del campione del mondo. Perché Valentino, in tempi non sospetti, aveva detto no alla Ducati. Ancor oggi si narra di quella sera del 2003 quando il campione, indeciso fra Yamaha e Ducati, piombò di sera a Borgo Panigale per parlare con i grandi capi. Non se ne fece nulla perché la Yamaha era rischio e gioco, mentre la Ducati era rischio e calcoli e ingegneri votati alla causa dell’azienda. Degli extraterrestri, per il modo di vivere e pensare del Dottore. «Ma è il nostro metodo - dicono ancor oggi in coro -, noi analizziamo, simuliamo, valutiamo numeri e cifre per capire moto e piloti, anche della concorrenza». Valentino, invece era è e sarà solo talento e istinto. Per rendere l’idea di come Rossi e la Rossa a due ruote siano universi diversi, al Mugello, lo scorso giugno, il gran capo Ducati, parlando di Valentino, disse anche: «È un tale fenomeno che averlo potrebbe oscurare il nostro marchio». Il concetto espresso dal manager era più complesso, sottolineava come, nel caso il campione fosse arrivato, non avrebbero mai saputo se vincevano grazie a lui o per meriti della moto. Ma tant’è: il campione non gradì e il freddo divenne grande. Anche se, e sono parole dell’altro giorno, parole dette all’inglese The Guardian, il Dottore ha tenuto comunque aperta una porticina per un futuro in Ducati. Sarà il fascino della Rossa a quattro o due ruote che l’ha catturato, sarà che veder Capirossi italiano vincere e gioire su moto italiana lo ha stuzzicato, sarà che non è insensibile al richiamo delle sirene (nella fattispecie quel rombo unico del motore a distribuzione desmodromica: la moto italiana è l’unica al mondo ad avere un sistema meccanico di alzata delle valvole), fatto sta che tutto può ancora accadere. A meno che Capirossi non continui a dominare.

A quel punto, in Ducati, non ci sarebbe spazio neppure per il Dottore.

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