Cultura e Spettacoli

Il Duce: credere, obbedire, registrare

Maschilista ma con riserva: il Duce visto da se stesso. Tornano i "Taccuini" raccolti da Yvon De Begnac fra il 1934 e il 1943. Un monologo in cui Mussolini disegna (a tinte forti) il proprio ritratto

Il Duce: credere, obbedire, registrare

Il lunedì di Pasqua del 1934 uno studente universitario di 21 anni varcò per la prima volta il portone di Palazzo Venezia a Roma. Emozionatissimo. «Davanti a me stava l’Uomo che, insieme con Napoleone, aveva occupato, ed ora da solo occupava, tutta la mia attività di studioso». Benché così giovane, Yvon De Begnac aveva già esordito due anni prima come giornalista su Il Lavoro Fascista di Edmondo Rossoni (il sindacalista autore della Carta del Lavoro) e su alcuni giornali italiani di New York. Presentato da Galeazzo Ciano, il precoce ragazzo, già autore di un volume sul Duce (Trent’anni di Mussolini 1883-1915) veniva con il suo libro fresco di stampa sotto il braccio a incontrare l’uomo-mito della generazione formatasi in pieno fascismo-regime.
Non voleva soltanto presentargli il libro, ma chiedergli di poterlo incontrare ancora per realizzare il suo ambizioso progetto: una monumentale biografia mussoliniana. Fu, da parte del Duce, simpatia a prima vista che fruttò a De Begnac numerosi altri incontri - fino alla vigilia del 25 luglio 1943 -, una brillante carriera giornalistica ed editoriale ma anche invidie e maldicenze.
La biografia di Mussolini non fu mai completata (uscirono solo tre volumi degli otto previsti), rimase però a De Begnac uno sterminato materiale di appunti frutto dei colloqui - più che altro monologhi - con Mussolini, in parte utilizzati per altri libri (tra cui Palazzo Venezia. Storia di un regime, 1950) ma in gran parte rimasti inediti fino a quando la casa editrice il Mulino li pubblicò nel 1990, a cura dello storico Francesco Perfetti, con una prefazione di Renzo De Felice.
L’interesse fu vivissimo e promette di ripetersi, ora che il Mulino ne presenta la ristampa, appena arrivata in libreria (Taccuini mussoliniani, pagg. 648, euro 19). Sono passati ventuno anni, la produzione storiografica e di divulgazione sul fascismo è ormai sterminata, gli archivi sono stati aperti rivelando nuovi documenti, diari di Mussolini «veri o presunti» sono stati pubblicati: quale dunque l’importanza di questo volumone fitto di nomi tra i quali il lettore comune rischia di perdersi?
Il motivo di interesse, piaccia o non piaccia, è sempre il protagonista, l’uomo politico più amato, odiato, denigrato, biografato, studiato del Novecento. «Benché oggi questi Taccuini non contengano rivelazioni - afferma il curatore Francesco Perfetti - essi rimangono un documento importantissimo, non solo del pensiero e della psicologia di Mussolini, dal momento che egli qui si esprime in vista di una biografia ufficiosa, ma anche del suo stesso atteggiamento nei confronti del fascismo-regime. Se molti giudizi critici nei confronti degli uomini a lui vicini possono essere dettati da malumori del momento, è indubbio che il Duce è spesso deluso e rivela a De Begnac anche i suoi debiti politico-culturali e i mai interrotti legami intellettuali con uomini del sindacalismo rivoluzionario mentre conferma, per esempio, le sue antipatie per i nazionalisti. O la stima per grandi avversari come Giovanni Amendola, o l’avversione per Giolitti. D’altronde il giovane biografo era molto vicino a quegli ambienti che a metà degli anni Trenta vedevano il fascismo come una rivoluzione incompiuta, imborghesitasi nel regime, e a cui solo Mussolini poteva dare nuovo slancio. Un fascista “di sinistra”, insomma».
I Taccuini di De Begnac hanno inoltre il pregio, di fronte ad altre pubblicazioni recenti, dell’autenticità, anche se Perfetti precisa che bisogna piuttosto parlare di «attendibilità»: «Sia chiaro che essi non sono un testo autografo mussoliniano. Il personaggio ci appare sempre attraverso l’occhio del biografo che cerca però di essere il più possibile fedele. Lo interroga sulla cultura e ne ricava alcuni giudizi fulminanti sugli intellettuali e sugli artisti italiani, rivelando un Mussolini che leggeva molto, o per lo meno era molto informato su quanto si andava pubblicando».
Un Duce diverso da quello che appare in I diari di Mussolini (veri o presunti) il cui primo volume riferito al 1939 è stato da poco pubblicato da Bompiani. Francesco Perfetti ne conosce la lunga storia, fin da quando i supposti diari furono offerti in vendita a metà degli anni Ottanta. Lo storico espresse dubbi all’editore Mondadori prima, a Marcello Dell’Utri poi, prima ancora delle perizie calligrafiche e fisico-chimiche sul testo: «Non soltanto per la superficialità di molte osservazioni su momenti politici importanti (si parla più che altro del tempo), non solo per clamorosi sbagli di date e luoghi ma anche e soprattutto per i numerosi errori di ortografia, impensabili in uno scrittore come Mussolini che la lingua italiana dominava perfettamente».
Ma è anche diverso, il Mussolini di De Begnac, da quello che appare nei diari di Claretta Petacci, anch’essi finalmente usciti dagli archivi due anni fa e certamente autentici. Ed è qui che Perfetti distingue di nuovo fra «autenticità» e «attendibilità»: «I diari di Claretta sono autentici però poco attendibili. Vanno cioè letti in controluce, nella filigrana del rapporto di Mussolini con la Petacci che su di lui non aveva alcuna influenza né politica né culturale. Quindi molte dichiarazioni, come per esempio le sparate su Hitler e il razzismo, sono fatte ad personam, per impressionare l’ascoltatrice che le riporta acriticamente».
Una conferma della scarsa considerazione intellettuale del Duce verso le donne. Con due sole grandi eccezioni: la forte personalità di Margherita Sarfatti e, prima ancora, quella di Angelica Balabanoff, verso la quale il Benito-Duce conserva la stessa devozione del Benito anarchico e massimalista. Dice in una di quelle sere a Palazzo Venezia, quando riceve De Begnac al termine di una lunga giornata: «... debbo ad Angelica molto di più di quello che ella crede io le debba. Aveva sapienza politica. Era fedele alle idee per le quali combatteva... La sua generosità non conosceva limiti... Se non l’avessi incontrata in Svizzera, sarei rimasto un piccolo attivista di partito, un rivoluzionario della domenica...».
Per un maschilista come Mussolini, chapeau bas.

Anche perché Angelica, detto per inciso, pagò di persona per essere, lei sì, rimasta fedele alle idee professate allora dal suo antico compagno e forse amante.

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