La foto in copertina rimanda a una coppia nel giorno delle nozze, lui un signore, magro e distinto, di mezza età, lei una ragazzona bene in carne, molto più giovane e che non riesce a dissimulare la felicità. È il 1927, lo sposo si chiama Marcel Duchamp, è un pittore davanguardia, cè chi lo ha definito «il Papa dei surrealisti», la sposa è la ventiquattrenne Lydie Sarazin-Lavassor, buona famiglia borghese alle spalle, studi borghesi, gusti borghesi... Che cosa abbia spinto i due a unirsi in matrimonio, più che un mistero è un pasticcio, ovvero il frutto di un equivoco. Lydie teme di restare zitella, la Grande Guerra ha infatti falciato la classe detà maschile cui potrebbe fare riferimento, i genitori sono fra loro in rotta e laria domestica si è fatta irrespirabile. È romantica, Lydie, sogna il principe azzurro che se la porterà via, scambia la stravaganza, lanticonformismo, per un gioco piacevole. Marcel è un pittore che non vuole più dipingere, un artista che non vuole vendere le sue creazioni e detesta galleristi e mercanti darte. Cerca un mecenate, Marcel, qualcuno che lo mantenga e gli lasci così il tempo per giocare a scacchi, la sua vera, grande passione.
Uno scacco matrimoniale (Archinto, pagg. 204, euro 22) è il racconto che, mezzo secolo dopo, lei metterà su carta. Nel tempo Duchamp è entrato nella storia, considerato un genio iconoclasta, ma dal libro vien fuori il ritratto di un mostro. Di egoismo.
Si dirà che luna cosa non esclude laltra, ed è vero. Ma è altrettanto vero che il lettore, specie se, come nel nostro caso, di sesso femminile, fatica a non solidarizzare con la povera Lydie e a non detestare il cinico Marcel. Questi in fondo si è sposato perché il suo amico Picabia, altro mostro sacro della pittura, gli ha fatto balenare la prospettiva di una sistemazione perfetta. Conosce la famiglia Lavassor, sa che il padre di Lydie vorrebbe divorziare e che lunico freno è dato dal fatto che prima deve accasare la figlia. Se Duchamp se la sposa, papà Lavassor si ritroverà libero da ogni vincolo morale, potrà risposarsi a propria volta e sarà certamente generoso nei confronti di chi gli ha risolto il problema. Picabia e Duchamp ragionano così, la vita è un gioco, e poi cè lironia, tutta dadaista, di mettere insieme il magro Marcel e la grassa Lydie, di far entrare il più rivoluzionario e squattrinato dei talenti nella più tradizionale e abbiente delle famiglie, di celebrare in chiesa e in pompa magna un sacramento che invece si disprezza. Non è divertente, tutto questo? Magari lo è, ma mentre Lydie fiduciosamente si innamora, papà Lavassor non è così piccione come i due geni dadaisti immaginano. Assicura una rendita, certo, sufficiente però per le esigenze della figlia, ma non per quelle di una coppia, né tantomeno di una coppia in cui il marito non intende lavorare...
Se Duchamp pensava di dare scacco matto è Lavassor a mangiargli il re. Il matrimonio durerà cinque mesi, un minimo di convenzioni va rispettato e poi si spera per un po che i cordoni della borsa possano lo stesso aprirsi... Nellattesa si cerca di far baldoria e di prendere ciò che la vita offre. Marcel è un fanatico dei giochi di parole, Picabia spara alle gomme delle automobili che vanno troppo piano e gli intralciano la strada, a Cannes Man Ray, avaro, insiste nel fare il bagno dove scaricano le fogne e inghiotte un escremento, Brancusi arriva in Provenza con piccozza e maglione perché Alpi Marittime per lui vuol dire neve, Kiki di Montparnasse si ubriaca e canta, a Nizza Lydie, affacciata alla finestra, viene scambiata per una prostituta...
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