Di lui si sa che non è nessuno. Ma di lei, dietro a quella faccia, ormai non si sa più niente. Era, è ancora, in realtà, la donna più titolata del mondo (sotto al pallore ciprioso della pelle, nelle sue provate vene gonfie, scorre più sangue blu di quanto non ne scorra in quelle altrettanto consumate della Regina Elisabetta), ed è proprio da questo che è partito lo scandalo. La Duchessa d’Alba, la donna (ottantacinquenne) più blasonata del mondo, che sposa un grigio funzionario statale di venticinque anni più giovane, tal Alfonso Diez, di bell’aspetto e ancor migliori speranze. Speranze... Certezze verebbe da dire se non fosse che il destino è famoso per le capriole inaspettate. Il matrimonio che si è celebrato ieri a Siviglia (nella cappella del palazzo di Las Duenas), tra pochi amici nobili di tutto il mondo, apparentemente rappacificati con l’imbarazzo, è costato mesi di sfinenti trattaive patrimoniali (con i sei figli di lei che alla fine hanno ottenuto la loro fetta di eredità «in anticipo», si sarebbero divisi qualcosa come 600 milioni di euro), di «cerimoniali» scontri con il Re di Spagna Juan Carlos, fortemente indispettito dalla pittoresca, tardiva, terza unione della Duchessa, di sconsolata disapprovazione da parte di nobili inorriditi dalla proletaria «discesa agli inferi» sentimentale, di piccata ironia da parte della giudicante opinione pubblica.
Poi, come spesso succede in questi casi, è arrivato il giorno, cioè ieri, e tutto si è messo inspiegabilmente a posto. E dire che ieri è andato in scena il peggio. Sotto ettolitri di champagne, sopra a chili di petali bianchi, alla fine è passato il concetto che, a voler bene vedere, è stato l’amore a trionfare. Lei con un abitino rosa anacronistico e vaporoso, le calze a rete, le ballerine color confetto che le sono sfuggite dai piedi incerottati durante gli imbarazzanti balli d’entusiasmo. E quella faccia dietro alla quale non si sapeva più chi ci fosse. Tumefatta dalla cirurgia, snaturata dal bisturi, camuffata dalla lotta contro il tempo. Gli occhi invisibili, il naso piatto, la bocca e gli zigomi gonfi, la pelle lucida: roba da Pianeta delle scimmie. Il bouquet bianco nella mano vecchia. E il resto che non corrispondeva più a nulla. E accanto questo marito ospite, vittima, carnefice, Cenerentolo, inutilmente bello, peggio, colpevolmente bello: davvero la ama? E cosa ama, precisamente, di questa sofferente a disagio con la natura? Un signore elegante e «in vita» che ha sessant’anni e niente di grigio che rimandi alla polvere e alla noia del funzionario che si è sentito rinfacciare in questi mesi. Un uomo che ha ancora qualcuno dentro e che sorregge questa «maschera» per un braccio e prova a sorridere senza già riuscirci. Un signore in abito di ottimo taglio che quando iniziano le danze si fa da parte, si rimette all’angolo, nell’ombra dalla quale è appena, opportunisticamente uscito e accompagna la danza della sua «sposina» con il battito delle mani. Ma non per celebrarla, per non seguirla. Se ne sta al riparo dallo scempio che gli è convenuto. Senza mischiarsi a quello spettacolo che mette in scena, con involontaria violenza, tutto ciò che sono: una caricatura. Lei, superiore per blasoni ai Borbone o ai Windsor, che scricchiola e traballa con più entusiasmo che ritmo. Che sembra si spezzi andando a un tempo che non è più il suo tempo. Che festeggia l’inizio di un’altra vita nella quale è già sola. Tristezza blu. Blasonatissima.
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