Roma - Ci si poteva scommettere. Non appena Berlusconi ha rispolverato l’interessante idea di portare a due sole aliquote il sistema fiscale italiano è cominciato il fuoco di sbarramento dell’opposizione, con i consueti argomenti che ben poco hanno a che fare con l’equità e il gettito fiscale. Cerchiamo di approfondire senza preconcetti quali potrebbero essere le conseguenze pratiche dell’applicazione di questo principio rivoluzionario che, vale la pena ricordarlo, non è esattamente una novità ma costituiva uno dei punti del famoso «contratto con gli italiani» del 2001. Una premessa di metodo: per sgombrare il campo da facili strumentalizzazioni quando si parla di reddito in Italia conviene sostituire la parola «guadagnato» con la parola «dichiarato», dato che le due grandezze sono molto diverse tra loro. Se dovessimo infatti stare alle dichiarazioni dei redditi così come sono attualmente presentate, i «ricchi» sarebbero rari come panda e i nullatenenti o quasi sarebbero la grande maggioranza. Dato che dalle ultime statistiche appare che solo lo 0,2% degli italiani dichiara più di duecentomila euro lordi e dato che le nostre città non sono costituite da un castello contenente l’unico ricco, contornato dalle capanne di fango della plebe, appare evidente che la base imponibile delle dichiarazioni sia totalmente sballata. Eppure proprio per questo motivo un Paese con una fortissima evasione come è il nostro sarebbe proprio il candidato ideale per la sperimentazione di un decisivo appiattimento delle aliquote verso il basso. Non si tratterebbe in ogni caso di un salto nel vuoto senza basi teoriche: è dal 1981 che gli economisti americani Robert Hall e Alvin Rabushka hanno cominciato ad immaginare un sistema fiscale addirittura basato su un’unica aliquota, molto bassa, la cosiddetta «flat tax», un sistema a cui tenderebbe l’idea berlusconiana delle due aliquote. I due studiosi scommettevano che l’allargamento della base imponibile portato da una simile impostazione avrebbe più che compensato il calo delle aliquote, dato che si sarebbero grandemente ridotti tutti quei fenomeni elusivi ed evasivi che fioriscono in un sistema fiscale punitivo e complesso. Alla loro teoria mancavano però dei riscontri pratici e tutti sanno bene che sulla carta tutte le idee funzionano.
Ebbene, all’inizio degli anni 2000 alcuni Stati hanno sperimentato il «salto nel vuoto» dell’aliquota unica e i risultati stanno cominciando ad essere analizzati da seri studi scientifici. Delle circa venti nazioni che hanno provato ad abbandonare la vecchia progressività del tributo, il caso più significativo è rappresentato dalla Russia, che nel 2001, dopo aver verificato l’impossibilità di arginare la diffusissima evasione fiscale con metodi «tradizionali», decise di adottare una sola aliquota sui redditi (se pur congegnata in modo differente da quella teorizzata da Hall e Rabushka) fissandola al bassissimo livello del 13%. L’azzardo funzionò incredibilmente bene, dato che questa mossa, invece di un crollo delle entrate fiscali, provocò un aumento del gettito per l’imposta sulle persone fisiche pari al 25% in termini reali, aumento confermato poi negli anni successivi con altre crescite a doppia cifra. Un recente e approfondito studio, condotto da ricercatori delle università di Berkeley e Georgia State, ha passato al setaccio il caso russo, dimostrando che l’aumento del gettito osservato sia stato soprattutto dovuto ad un drastico calo dell’evasione indotto dal nuovo sistema.
Se si fa il minimo sforzo di ragionare in quest’ottica vengono a cadere le obiezioni demagogiche di quanti affermano che il modello a due aliquote «avvantaggerebbe i ricchi». Non è vero. Se mai sgraverebbe quei pochi percettori onesti di redditi medio alti che hanno sempre dichiarato tutto venendo finora spremuti come limoni (e non sarebbe certo un delitto), mentre potrebbe essere la volta che qualche ricco evasore si decida finalmente a dichiarare i propri redditi, venendo tassato il giusto e pagando così una riduzione fiscale per tutti. È ovvio infatti che l’allargamento della base imponibile consentirebbe che la riduzione delle imposte valga per ogni fascia di reddito. L’impostazione standard di un sistema basato su una «simil-flat tax», poi, prevederebbe il ritorno della «no tax area» ottenibile per esempio con detrazioni per carichi familiari e il divieto di doppia imposizione con conseguente azzeramento delle tasse sui risparmi in quanto grandezze già tassate. Nessun «regalo ai ricchi», quindi, ma un modo intelligente di penalizzare chi finora si è ingegnato più ad eludere ed evadere che a produrre lavorando (e pagando quanto dovuto). Il momento è propizio perché i paradisi fiscali sono ora molto più trasparenti e le sanzioni per gli evasori sono state adeguatamente elevate. I rischi? Nessuno. Se anche l’idea non dovesse funzionare per nulla e non emergesse un centesimo di base imponibile, sono talmente pochi quelli che dichiarano un reddito elevato che il costo di un fallimento totale sarebbe di poco superiore ad un punto percentuale di Pil. Niente di irreparabile dunque.
In Grecia nel 2005 considerarono l’idea di una «flat tax», il tentativo abortì a seguito di argomentazioni simili a quelle che ha usato Bersani per bocciare la proposta.
Adesso la Grecia ha la sua brava aliquota massima al 40% e tasse sui risparmi superiori alla media europea: peccato che rischi la bancarotta. Un caso? Forse sì, ma perché non provare per una volta a seguire i modelli che hanno funzionato invece di quelli fallimentari?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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