
Ci siamo. Giorni e giorni di retroscena, più presunti che reali. Quel che pensano i cardinali non coincide con quel che scrivono i giornali di tutto il mondo. Entrano in conclave 133 porporati che portano culture e storie diverse. La geografia dei votanti è un mappamondo che mette insieme continenti diversi, almeno due generazioni successive, i settantenni e i cinquantenni; Timothy Dolan, potente e mediatico arcivescovo di New York, siederà allo stesso consesso con Chibly Langlois, voce della disperata e poverissima Haiti. Si potrebbe proseguire all'infinito con queste suggestioni, mettendo in fila tutti i paradossi del sacro collegio, fra vecchio e nuovo mondo, democrazie e dittature, Paesi in pace e Paesi in guerra.
Resta il mistero affascinante e insondabile: come tutto questo magma riesca alla fine a incanalarsi, prendendo le sembianze di un uomo, uno solo, che porterà sulle spalle una responsabilità immensa.
Le congregazioni generali hanno arato il terreno: gli inquilini della Sistina si sono incontrati, molti per la prima volta, e hanno messo a tema virtù e criticità della Chiesa. Anzi, come ha detto ieri al Giornale Francesco Coccopalmerio, che non entrerà nella Sistina perché ha passato gli ottant'anni, «sarebbe bello rendere permanenti questi appuntamenti, magari una volta l'anno».
Ma ora il tempo è scaduto e oggi si arriverà all'«extra omnes» e alla prima conta delle schede.
Non ci sono e non ci possono essere certezze, ma certo Pietro Parolin parte con un importante pacchetto di consensi. Forse una quarantina, anche se è arduo danzare con le cifre. Parolin interpreta la continuità, senza estremismi, rispetto a Bergoglio, è considerato persona di grande equilibrio e gode della stima generale; conosce inoltre perfettamente la macchina organizzativa e potrebbe intervenire per correggere eventuali precarietà.
Naturalmente, il ragionamento può essere rovesciato, imputandogli quel che oggi non funziona o scricchiola.
La partita è aperta. Probabile che alla prima conta emergano altri cinque o sei candidati in grado di raccogliere un certo numero di voti. Quindici, massimo venti, e poi a scalare, dieci o anche meno. In questa short list c'è Peter Erdö, l'ungherese nato in una famiglia di intellettuali cattolici quattro anni prima dell'invasione sovietica, gradito all'ala conservatrice ma non solo. E poi c'è Pierbattista Pizzaballa, sostenuto dal partito «francescano», e con ottimi sponsor in Vaticano. Ma ritenuto, con i suoi sessant'anni, troppo giovane per un pontificato che si annuncerebbe in prospettiva lunghissimo.
Altra figura che potrebbe calamitare i voti è quella di Robert Prevost, che è statunitense ma non si identifica con gli americani, perché è stato a lungo missionario in Perù. Non solo: ha avuto una seconda vita a Roma dove è stato fino alla morte di Francesco prefetto del Dicastero per i vescovi. Quanti consensi intercetterà?
Altri porporati potrebbero puntare, in prima battuta, su Matteo Zuppi, vicino alla Comunità di Sant'Egidio, sul francese Jean-Marc Aveline, sullo svedese Anders Arborelius, sul maltese Mario Grech e sul filippino Luis Antonio Tagle.
Un candidato forte dunque. E altri che verranno premiati nell'urna.
La domanda decisiva è un'altra: cosa accadrà dalla seconda o dalla terza votazione in poi? I voti confluiranno su Parolin o si cercherà un'alternativa? E chi potrebbe essere fra questi?
Il quorum è a quota 89: gli schemi non aiutano, i precedenti dicono che i colpi di scena sono sempre possibili.
Nel 2013 Angelo Scola, da quel che sappiamo, arrivò a un passo dalla cattedra di Pietro, poi, visto lo stallo, i cardinali scelsero, con una virata spettacolare e imprevedibile, Jorge Bergoglio, dall'altra parte del mondo. Anzi, alla fine del mondo. Presto, sapremo.
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