Viviana Persiani
Secondo una ricerca americana, la natura razzista di un essere umano non può essere cambiata dopo i dieci anni. Lisa Ferrari, da trent'anni a stretto contatto con il mondo giovanile cui si rivolge attraverso il linguaggio teatrale, dopo aver riflettuto su questa affermazione, ha pensato di scrivere una fiaba che semplificasse la tragedia della Shoah. Questa sera, al Teatro di Verdura con La bambola bionda e la bambola bruna, prodotta dalla compagnia Pandemonium Teatro, anche la platea in erba potrà commuoversi ed emozionarsi di fronte ad una storia molto dolce, ma con una crudeltà sottesa.
«È stata questa un'operazione molto particolare e delicata - racconta Lisa Ferrari, che ha seguito anche la regia dello spettacolo -. Ho lavorato per anni attorno al tema della deportazione degli ebrei, raccogliendo materiali e testimonianze, ma il problema era quello di trovare il modo più chiaro e piacevole per raccontare questo capitolo di storia della nostra civilità, sensibilizzando le coscienze dei ragazzi».
Quindi come ha operato?
«Ho utilizzato una metafora adeguata al pubblico più giovane. In un negozio di giocattoli, tra soldatini, trenini e quant'altro possa essere esposto in un punto vendita del genere, due bambole, una bionda e l'altra bruna cercano di attirare l'attenzione dei clienti danzando nella vetrina. Quando la bionda si accorge che nessuno entra chiedendo di loro, ecco che comincia a incolpare l'altra di non essere abbastanza carina. La bruna soccombe di fronte alla determinazione della compagna e viene così relegata in cantina con tutti i giocattoli inutili e come lei destinati alla rottamazione».
Metafora tout court?
«Sì, volendo raccontare il dramma del "sogno" nazista, la cantina rappresenta il ghetto, mentre la fase di rottamazione sta ad indicare il campo di sterminio. Il tutto addolcito dalla danza e dalla musica onnipresente sulla scena».
Quindi ci sono delle ballerine?
«Giulia Mancini e Eleonora Rolli sono le protagoniste di questo spettacolo che danzano leggiadre esprimendo i loro sentimenti che a parole sarebbero troppo violenti».
Visto che ha voluto ricostruire una tragica vicenda realmente accaduta, come finisce la fiaba?
«Anche sul finale ho avuto enormi dubbi; rispettando la struttura della fiaba occorreva un happy end, un lieto fine che non sconcertasse e non traumatizzasse i giovani e che, nel contempo, facesse comprendere la gravità della tragedia».
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