Milano racconta mille storie. Storie di sé, di chi l'ha vissuta. Di chi l'ha amata. Di chi vi ha abitato. Di chi ha deciso di conservarne memoria sul proprio epitaffio. Di chi vi combattè. Di chi vi pregò. Da Sant'Ambrogio a Internet, duemila anni di racconti in gran parte poco noti. Storie di personaggi illustri che attraverso mille storie raccontano la storia della città. A raccoglierle in un volume è Guido Lopez che ha dato alle stampe un'edizione riveduta e aggiornata del suo volume «Storia e storie di Milano» (Newton Compton, pp. 368, 12,90 euro) che rappresenta uno dei titoli più interessanti per chi ami leggere e seguire le vicende degli uomini che l'hanno caratterizzata e dei luoghi per i quali tuttora si fa ricordare.
Escono così dalle pagine di Lopez scrittori di primo piano che a Milano vissero e si legarono. Come quell'Henry Beyle, francese, certo più noto con lo pseudonimo di Stendhal che addirittura volle un'epigrafe in italiano - definendosi «milanese» - sulla sua tomba ora allestita a Parigi al cimitero di Montmartre dove riposano le sue illustri spoglie. Lo scrittore soggiornò in città per lunghi anni ai primi dell'Ottocento e nel 1821 fu costretto a lasciare la città perché gli austriaci, che nel frattempo si erano rimpossessati della metropoli, lo sospettavano di fare il doppio gioco. Vi lasciò anche l'amore, a Milano, Stendhal. In un colpo perse tutto.
Ma questa è solo una delle tante storie che vi si possono ritrovare. Si pensi alla nebbia, protagonista che accoppia da sempre il proprio nome a Milano. Nata dopo la dominazione spagnola che vietava la coltivazione delle risaie nelle vicinanze delle città, rifiorì dall'Ottocento in avanti diventando un elemento congenito nella vita invernale della metropoli. La nebbia, i milanesi l'hanno ribattezzata «scighera», un termine con origini latine nel lemma accecaria (=caecaria) con evidenti riferimenti alla caratteristica di avvolgere in un cono impenetrabile ciò che si ha di fronte agli occhi con l'effetto di farlo diventare sfuggente. La nebbia ha poi fatto la storia della città entrando a buon diritto nella letteratura attraverso le opere di scrittori milanesi.
Eppoi la stazione Centrale, altro simbolo suo malgrado. Quando fu inaugurata era l'1 luglio 1931 ma Sua Maestà non c'era. Era molto grave il cugino, il Duca d'Aosta, che infatti morì di lì a poco e il Re aveva disertato l'appuntamento per il capezzale del parente. Nemmeno Mussolini, che fortemente volle quella costruzione simbolo dell'efficienza del regime, fu presente al varo. Al suo posto andò il ministro dei trasporti Costanzo Ciano, con suocero del Duce. La nuova stazione nasceva sulle ceneri di un precedente scalo ferroviario che collegava Milano con Monza e la Brianza. Era il 1840 quando fu costruita ed entrò in funzione divenendo punto di riferimento per collegamenti ferroviari di pochi chilometri. Era periferia, allora. Oggi la stazione è centro cittadino. Il cuore di una metropoli in cui in poche ore si può raggiungere la capitale.
E c'è la volta di San Vittore al Corpo, una chiesa nata in una zona in cui due ordini si accavallarono nel tempo. Gli Olivetani presero il posto dei Benedettini con i quali non dovettero avere un buon rapporto. Il precedente mausoleo ottagonale, la Rotonda di San Gregorio, venne abbattuto per dar vita a una chiesa che fu eretta in piena epoca rinascimentale e rappresenta un autentico capolavoro dell'arte. La volta, interamente affrescata, si compone di 80 scomparti, ognuno dei quali contiene un angelo musicante opera di Daniele Crespi e Roberto Caccia nel Seicento.
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