Duri, spicci, inflessibili Quei vecchi commissari da «poliziottesco»

Il musone Betti, il viveur Malacarne, lo spietato Tanzi: in un libro i protagonisti di un'epoca

Pedro Armocida

Certo, signora mia, non ci sono neanche più i commissari di una volta. Nell'immaginario collettivo sono diventati ormai quelli «straordinari» che vengono chiamati a salvare, si fa per dire, amministrazioni di città senza più sindaci, dimessi o dimissionari, vuoi per colpa della malavita, vuoi della malapolitica. E non si capisce più bene la differenza. Ma c'è stato un tempo in cui pullulava di commissari, tutti d'un pezzo, maschi, duri, inflessibili. Fascisti li definiva la critica più sprezzante prima che arrivasse Quentin Tarantino a sdoganare tutto dall'estero, anche se in Italia lo avevano già fatto riviste come Nocturno e Cine 70.

Un tempo in cui, nel cinema italiano degli anni '70, gli stessi di quelli di piombo maledettamente reali e veri, appaiono il commissario Betti, sempre incazzato, il commissario Belli, dai modi duri che non guardavano in faccia nessuno, neanche donne e bambini, il commissario Malacarne che amava la bella vita, i soldi e le donne, il commissario Tanzi dal grilletto facile, il commissario Mark, ex sessantottino politicamente scorretto, che sparava prima di chiedere un documento.

Un filone, quello cosiddetto poliziesco o dispregiativamente poliziottesco, che fu molto popolare all'epoca, molto commerciale e anche un po' ripetitivo nella sua formula narrativa, perché doveva «difendersi» dal successo degli spaghetti western. Il poliziesco è un sottogenere del giallo italiano che, in ultima analisi, è quasi indefinibile per le sfaccettature che via via prende, dal melodramma al thriller allo spionistico. Prova a fare ordine in questo magma il volume di Andrea Pergolari, La polizia si incazza. Spie, assassini e sbirri del cinema italiano (Ultra, pagg. 416, euro 23,50), che segue la periodizzazione classica con la gloriosa collana di romanzi pubblicata da Mondadori con il primo giallo del 1929, mentre il primo film del genere è dell'anno dopo, Corte d'Assise di Guido Brignone. Un'opera quasi enciclopedica con questo primo volume che ha come oggetto delle sue centinaia di schede «I protagonisti e i personaggi». Mentre seguirà un approfondimento interamente dedicato ai film, dal 1930 ad oggi, e, per completare il lavoro, il terzo volume con i materiali e i percorsi critici individuabili all'interno del genere: città, libri di riferimento, contesto storico, interviste ai protagonisti.

Ecco gli attori che sono diventati tutt'uno con i loro personaggi, come quelli interpretati - ben 17 - da Maurizio Merli, poliziotti dai modi spicci e sbrigativi fin dai nomi - Betti, Tanzi, Berni, Murri, Olmi - e fin dai titoli, Poliziotto sprint, Commissario di ferro, Poliziotto senza paura. Ma i film interpretati da Merli ben inquadrano anche l'altro dato importante di questo genere legato indissolubilmente allo spazio urbano con titoli come Roma violenta, Roma a mano armata, Napoli violenta. In questo senso il maestro del genere è stato sicuramente il regista Fernando Di Leo che con Milano calibro 9 mette anche in crisi le certezze d'una certa critica che non sapeva dire se si trattasse di un film reazionario o di sinistra. In realtà, come hanno spiegato bene Christian Uva e Michele Picchi in Destra e sinistra nel cinema italiano. Film e immaginario politico dagli anni '60 al nuovo millennio di ormai dieci anni fa, il film, ispirato all'omonima raccolta di racconti di Scerbanenco, mette in scena proprio una dialettica, solo apparentemente banale ma interessante per un film popolare, tra destra e sinistra nei dialoghi tra il commissario e il suo vice Mercuri. Una contrapposizione che rivela, anche nei film con Merli, un discorso più profondo, con registi di spirito anarchico come Umberto Lenzi, che ha realizzato quattro film con l'attore dallo sguardo di ghiaccio (un po' come Clint Eastwood e il suo Callaghan), tacciati di essere fascisti. Mentre appunto il discorso è più complesso come si può ben vedere da un personaggio come Il gobbo, interpretato dall'onnipresente Tomas Milian pre-Er Monnezza, che sparava e inveiva contro i borghesi che deridevano la sua diversità.

Ma, poliziottesco a parte (c'è da ricordare anche il commissario Bertone con Enrico Maria Salerno che è stato un po' il prototipo del genere), il volume di Andrea Pergolari ricorda i tanti altri commissari del cinema italiano, come il milanese Ambrosio interpretato da Ugo Tognazzi che è stato anche il commissario Pepe del film di Scola. O come il commissario Baldassarre che in Doppio delitto di Steno avrà il volto sonnacchioso di uno strepitoso Mastroianni, che è stato anche il commissario Santamaria in La donna della domenica di Comencini. Come non ricordare poi Germi e il commissario Ingravallo del gaddiano Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, fino ai più comici e recenti commissario Lo Gatto con Lino Banfi o commissario Piedone di Bud Spencer.

E così si finisce quasi per avere nostalgia dei poliziotteschi degli anni '70 che, come è stato scritto, hanno suggestionato l'immaginario italiano di massa, sia borghese che proletario, molto più che i film di autore. Insomma sembra aver fatto presa più il cinema di Maurizio Merli, Umberto Lenzi e Dario Argento che, ad esempio, quello di Marco Bellocchio e Elio Petri.

Mentre meriterebbe un libro a parte, o almeno una voce che per ora non c'è nel libro di Pergolari, la Giulia, la vettura di punta dell'Alfa Romeo che per 15 anni è stata la vera protagonista di questi film. Più espressiva di tanti attori.

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