Dustin Hoffman, la voce del maestro: "Insegno a un panda come si vince"

L’attore americano in Italia per presentare "Kung fu Panda", film d’animazione in 3D al quale ha lavorato quattro anni

Dustin Hoffman, la voce del maestro: "Insegno a un panda come si  vince"

Roma - Doppiare un cartone in 3D, così sofisticato da richiedere quattro anni di lavorazione e parlare al vento, senz’anima viva davanti, con una telecamera puntata sulla testa, pronta a cogliere ogni minima mossa del viso, ogni più piccola mimica del corpo, perché i capoccioni della Dreamworks, poi, adatteranno il personaggio al sembiante e via ibridando finzione e realtà, la tua faccia di carne e quella di uno Yoda virtuale. Chiunque perderebbe la pazienza, ma non lui, il piccolo grande uomo, entrato nei nostri cuori, con quell’espressione un po’ così, quando, zoppetto e morto di fame, scarrocciava per New York insieme all’uomo da marciapiede, quel John Voigt all’esordio, non ancora papà di Angelina Jolie.

Lustrare le medaglie sul petto del «laureato» Dustin Hoffman, due volte premio Oscar, è impossibile, perché viene da lontano e va ancora lontano questo talentuoso settantenne figlio di Hollywood, approdato al cinema perché suo padre Henry allestiva set a Los Angeles. Dopo aver presentato a Cannes Kung Fu Panda, la più famosa saga Usa animata dalle atmosfere orientali di John Stevenson e Mark Osborne (dal 29 agosto nelle sale, ma in anteprima il 25 luglio, al festival di Giffoni) l’attore losangelino è tornato in Europa per lanciare, lui che presta la sua voce al Maestro Shifu, guru in arti marziali, le imprese del maldestro Po, panda grasso, che sogna di diventare un asso del Kung Fu e ci riesce. Accompagnato dal nuovo John Belushi, Jack Black (sua la voce di Po, doppiato in italiano da Fabio Volo), umile, ma non modesto, con una camicia di cotone celeste dalle maniche arrotolate oltre i polsi, data l’afa, «L’uomo della pioggia» diverte, parla generosamente, ricorda e fa sperare di poterlo incontrare un’altra volta.

Caro Dustin Hoffman, quali difficoltà ha incontrato durante il doppiaggio del Maestro Shifu?
«Nei prodotti in 3D lo standard labiale è complicato. Ma ho avuto la fortuna di risolvere il tutto in un giorno solo, anche se è preferibile recitare di fronte a un’altra persona. Dalla voce al personaggio animato esistono molti passaggi, vista l’elaborazione di questa pellicola: la mimica facciale è un dato registrato da una telecamera, che riprende la performance, per crearci su il personaggio. Prima non si usava, ma la nuova tecnologia migliora sempre. Poi, io sono piccolo come Shifu e mi sono identificato».

Nel film, un panda mastodontico si allena con la guida di un guru, appunto Shifu, scoprendo di poter trasformare le sue debolezze in veri punti di forza. C’è un messaggio positivo per i più piccoli?
«Certamente: il messaggio comunicato con l’intrattenimento è molto importante. Già esistono vari super-eroi, da Batman a Hulk, ma qui vogliamo indicare un obbligo: dobbiamo guardare dentro di noi e utilizzare il nostro spirito. È noto che utilizziamo soltanto il dieci per cento del nostro cervello, ma nel nostro io vive un potenziale super-eroe da tirar fuori».

Guardando al suo passato di attore dal lungo e prestigioso curriculum, che cosa ama ricordare e che cosa rimpiange?
«L’incontro con il regista Mike Nichols, che mi lanciò con Il laureato nel ruolo di Benjamin, anche se ero già trentenne, più grande di uno studente universitario a fine corso. Ancora lo ringrazio per avermi offerto quell’opportunità. E un compagno di stanza, nei primi tempi da attor giovane e squattrinato: Robert Duvall. Odiavo lavare i piatti, se ne occupava Bob, mentre io facevo la spesa: scatoloni di mais e bistecche a buon prezzo. Ognuno ha dentro una grande energia, che dovrebbe essere usata per migliorarci. Invece, l’uomo è il peggior nemico di se stesso. Ancora mi pento d’aver rifiutato l’offerta di Federico Fellini, che mi voleva per il film La città delle donne, nel ruolo poi affidato a Marcello Mastroianni. “Verrò doppiato?”, gli chiesi. “Naturalmente”, fu la riposta e allora rifiutai: è stato un grandissimo errore».

Quali progetti ha per il futuro?
«Un film, che sembra per i bambini, ma è anche per gli adulti,

The Tale of Despereaux, ispirato a un libro per i più piccini di Kate Di Camillo. E un dramma romantico ambientato a Londra, Last Chance Harvey, dove sarò un uomo solo e stanco della vita, che però s’innamora di nuovo».

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