da Milano
Lidea, a rivederlo sul palco, ermetico, invecchiato ma forever young per virtù di poesia, è di uno che del passato poco si cura, considera il presente uninevitabile bizzarria e quanto al futuro, quello è in mano agli dèi, oltre che alla nostra insipienza. Insomma un saggio, scettico, sornione Bob Dylan è transitato laltra sera al Forum dAssago, ottomila persone tra i diciottanni e i novanta di unattentissima Nanda Pivano, eccitate dallentusiasmo debordante che per lo più si riserva ai divetti del pop, non ai maestri venerati.
Gran concerto? Detta così, la domanda presuppone che Dylan sia «soltanto» un cantante, magari una rockstar, o un pur grande cantautore. Ma lui, ecco cosa non riesce a intendere, tanta critica pop, è ben altro: lAmerica lonora come uno dei suoi vati, è stato candidato al Nobel, poeti come Ginsberg, Corso, Neil Simon lo chiamavano collega. E così accade che i parametri del recensore di canzonette non bastino più, a definire il mistero indeclinabile della sua poesia, la sua voce roca e assoluta, il suo solitario bussare alle porte del cielo, il declamato aspro e puntuto che in lui sostituisce la consolante rotondità del canto.
Va ben oltre la canzonetta e la canzone, il genio di Dylan, quale è tornato a manifestarsi laltra sera nellennesima tappa dun tour che dura ormai da ventanni, senza mai cessare perché «la strada - aveva ragione Kerouac - è vita». E così rieccolo, cappellaccio bianco, abito nero, la chitarra al collo come un collare da Pierrot. Eccolo, minuscolo tra avari effetti di luce, più che mai intento a spiazzarci, dal suo mondo di enigmi che per uno specialissimo miracolo continua da decenni ad incatenarci, pur così arcano e solipsistico. E la cui ultima trovata è la più ovvia, anacronistica, ingenua che un canzonettista potrebbe escogitare, non fosse che Dylan la riscatta con la luce del genio: dunque, in un mondo triturato dalla violenza, raggelato dal disamore, dove «dèi umani prendono la mira - Its alright ma, è del 65 e sembra scritta oggi - e fanno derivare tutto da fucili che scintillano/ da crocifissi color carne che splendono nel buio», solo lamore riuscirà ad essere antidoto contro linclemenza dei tempi. Scontato, perfino banale: senonché lui è riuscito, da un così fragile pretesto, a trarre un album-capolavoro, Modern times, ampiamente evocato laltra sera, e ardentemente acclamato.
A partire da Spirit on the water, curiosamente rifatta come un brano da night, eppoi Thunder on the mountain, visionaria, e Beyond the horizon, riletta con finta fatuità per dire che «al di là del sole/alla fine delliride dove la vita è solo allinizio/nelle ore lunghe del crepuscolo, più in basso della polvere di stelle/oltre lorizzonte è facile amare». Che è il tema, appunto, dellalbum, lammonimento estremo duno scettico che non ha disimparato a sognare e attorno a ciò fa ruotare tutto il concerto. Anche le citazioni più remote, e sorprendentemente odierne per come lui le rilegge, con la magnifica band guidata dal chitarrista Denny Freeman, e per come la platea le vive. Like a rolling stone, per esempio: era il 65 e lui cantava una donna che non sera «mai voltata a vedere la fronte aggrottata/dei giocolieri e dei clown/quando facevano trucchi per te», ma oggi «guardi nel vuoto dei suoi occhi/e gli chiedi: vuoi/che ci mettiamo insieme?».
Oppure It aint me baby, era il 64, Kennedy era morto, impazzava il Vietnam, Luther King inventava sogni contro il razzismo e Dylan sfilava al suo fianco.
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