Una dynasty da Palermo alla Milano da bere

Sbarcarono a Milano a metà degli anni Sessanta, confusi nell’esercito di meridionali che salivano al nord a dare manodopera a basso prezzo alle fabbriche del boom economico. I Liggio, i Carollo, i Fidanzati, i Bono. A Palermo stavano già negli organigrammi di Cosa Nostra: ma era ancora una mafia viddana, crudele ma rozza. E infatti se si frugano gli archivi dei carabinieri, si scopre che i primi passi al nord degli uomini della mafia siciliana furono stentati ed aspri. Denunce da poco conto, traffici da malavitosi di mezza tacca. Ma la mutazione genetica era alle porte. Stavano per aprirsi le due grandi stagioni del crimine organizzato: la cupa saga dei sequestri di persona, e il business inesauribile della droga. A Milano come a Palermo, furono gli uomini di Cosa Nostra a governare da padroni le nuove frontiere del crimine. E la vecchia «onorata società» divenne una potenza miliardaria.
Oggi, a mezzo secolo di distanza, Gaetano Fidanzati è uno dei pochi sopravvissuti di quell’epoca. Vecchio e stanco, ma non in disarmo: lo hanno riarrestato per omicidio l’anno scorso, mentre passeggiava per via Montenapoleone, su ordine della Procura di Palermo. Non viveva a Milano, ma in una villa a Parre, in Val Seriana: curiosamente, non gliela aveva messa a disposizione un prestanome del clan ma un ex terrorista rosso, Graziano Bruno Bianchi, militante dei Colp e - più recentemente - frequentatore assiduo della curva dell’Inter.
Pochi mesi fa è tornato in cella anche suo figlio Guglielmo, quello che ieri la Procura antimafia accusa di essere il dominus di una serie impressionante di attività diurne e notturne nella Milano da bere. Sia detto senza irriverenza: come in tutte le grandi famiglie imprenditoriali, anche in quelle mafiose non sempre le nuove generazioni sono all’altezza di quelle che le hanno precedute e che hanno costruito gli imperi. E così anche Fidanzati junior non sempre è sembrato reggere il confronto col padre, come se brillasse più di luce riflessa che di carisma proprio. Anche l’ultima ordinanza che lo ha riportato in cella, chiesta dal pm Marcello Musso, ruotava su una serie di traffici di droga piuttosto male organizzati, dove sulla geometrica potenza di Cosa Nostra sembrava prevalere una certa faciloneria di fondo. Appuntamenti mancati, soldi che non arrivano, cose così.

Ora la nuova indagine della Procura antimafia sembra in qualche modo riscattare la caratura criminale del «giovane» (relativamente, avendo ormai ampiamente scavallato la cinquantina) Fidanzati, attribuendogli uno spessore da vero boss. E confermando che, per quanto i tempi siano mutati, il tramonto di Cosa Nostra è ancora di là da venire.

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