RomaRosica da morire Fini. Perché il suo neonato Fli ha già subìto una tale emorragia di parlamentari da rischiare la morte in culla per anemia. A chi gli ha sbattuto la porta in faccia Fini risponde con gli insulti da adirato padre-padrone. O, meglio, da padre-padrino. Sì, perché al cinema Adriano di Roma, in occasione della prima assemblea nazionale dei circoli di Futuro e libertà, Gianfranco si fa don Mariano e utilizza fraseologie da boss per punire i transfughi: «Qualcuno - dice acido - mi ha fatto capire molto bene cosa significhi quel passaggio de Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia in cui si parla di uomini, ominicchi e quaquaraquà». Difficile sapere a chi fosse diretto linsulto tra i molti che gli hanno detto addio. A Sbai? Polidori? Siliquini? Moffa? Rosso? Catone? Barbareschi? Viespoli? Saia? Pontone? Menardi? Bellotti? Forse a tutti loro. Di certo anche questa volta Fini mente sulla compattezza dei suoi: «In Futuro e libertà non cè alcuna distinzione tra moderati e radicali, tra falchi e colombe (lo disse pure a Mirabello quando di parlamentari futuristi ce nerano una dozzina in più, ndr), perché non cè alcun progetto che preveda altri tipi di alleanze, ad esempio con il centrosinistra». Sulle motivazioni dellesodo Fini ribadisce: «Le defezioni sono dovute a un infingimento colossale, ad unallucinazione collettiva».
Per Fini non cè mai stata una deriva a sinistra sebbene tutti coloro che gli hanno voltato le spalle gli abbiano rinfacciato proprio questo. Ecco perché Fini suda sette camicie per dire che Futuro e libertà è ancorato a destra. Lo fa ribadire a tutti quelli che parlano prima di lui: da Buonfiglio a Della Vedova, passando per Bocchino. «Siamo nel centrodestra», ripetono come dischi rotti. Affinché sia chiaro, accanto al simbolo Fli compare per la prima volta la scritta «Il vero centrodestra». Il terrore di perdere altre pedine - ipotesi tuttaltro che scongiurata - è enorme. Per cui via con la nuova parola dordine: «Siamo alternativi alla sinistra». Lo dice Bocchino: «La sinistra è un avversario da battere». E per farsi capire meglio bastona Bersani: «Le firme raccolte sul nostro manifesto sono tutte vere, da noi non ci saranno mai quelle di Pippo, Pluto e Paperon de Paperoni...».
E anche il boss in persona picchia sullo stesso tasto: «Lessere alternativi allattuale centrodestra non significa non essere alternativi a questa sinistra - dice Gianfranco - che non è stata in grado di mettere in campo unidea che appassioni gli italiani». Di più: «Prospettare un modello per lItalia del 2020 è il nostro ambizioso progetto. Creare un dibattito su cui la sinistra italiana è indietro quanto Berlusconi: siamo in presenza dello scontro tra due grandi assetti conservatori, nel senso più deteriore del termine». Ma il vero capolavoro Fini lo compie quando, proprio lui, attacca la sinistra perché troppo antiberlusconiana: «La sinistra non è capace di alzare grandi bandiere, se non quella che Berlusconi ha governato male e se ne deve andare». Da che pulpito.
Insomma, perennemente in ritardo, Fini sembra essersi accorto soltanto ora che lantiberlusconismo militante non porta a nulla, se non a ulteriori esodi. Così, per la prima volta, arriva anche un po di autocritica: «Dobbiamo organizzare la presenza politico-culturale di Futuro e libertà senza aver timore qualche volta di essere eretici, ma anche di essere ultraortodossi: tra le cose da evitare cè anche una questione nella quale forse abbiamo ecceduto, e cioè di essere sempre fuori dal coro». Sembra un messaggio rivolto al marcantonio Filippo Rossi che, presente in sala, si spella ogni qual volta sente il refrain del «sale nella minestra».
Insomma, più destra, meno sinistra, meno antiberlusconismo. Sarà sufficiente a far passare i mal di pancia ai tanti scettici futuristi che ancora stanno sotto coperta? Uno di questi è Urso, a parole coccolato sia da Fini sia da Bocchino che lo chiamano «lamico Adolfo». Peccato che, appena arrivato, Urso sia stato salutato da Bocchino con un gelido abbraccio mentre fuori dal cinema i futuristi di Ffwebmagazine inscenavano una contestazione proprio nei confronti di Urso, reo di aver chiuso il periodico on line.
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