Cultura e Spettacoli

E anche Wes Craven racconta la paura in volo

Un ricatto a novemila metri nel thriller del re statunitense dell’horror: «Non volevo parlare di terrorismo, ma solo dello scontro tra i sessi»

Pedro Armocida

da Roma

Fortuna che lui non si prende troppo sul serio. Wes Craven è uno di quei pochi registi che coltiva una grande virtù: la modestia. Che oggi gli fa dire: «Se mi volto indietro e ripenso ai miei film, vedo molti cambiamenti. Il tempo è andato avanti e sono più anziano. Oggi comprendo meglio tante cose, sono diventato più accomodante ma anche più sofisticato». Ecco il benservito per i molti fan che attendono da lui opere con qualche messaggio, preferibilmente molto nascosto, di critica sociale, come accadde per il suo secondo lungometraggio Le colline hanno gli occhi del 1977, e che oggi vedono nel regista del nuovo Red Eye, da venerdì nella sale, un autore un po’ embebbed dopo i fin troppo osannati Nightmare e Scream. Ma se Wes Craven è un ottimo regista, proprio come tutti i grandi si diverte a fare sempre la stessa opera. Ecco allora questo agile filmetto, 86 minuti, che non vuole essere nulla di più di quello che è: un thriller psicologico da seguire tutto d’un fiato. Negli Stati Uniti l’hanno già capito e il film, uscito quest’estate, al botteghino ha raggiunto quota 60 milioni di dollari, tre volte quanto è costato.
Storia semplice e lineare: in un volo notturno verso Miami, Lisa Reisert (Rachel McAdams) è seduta accanto a Jackson (Cillian Murphy), un uomo fascinoso che ha conosciuto pochi minuti prima all’imbarco. Subito dopo il decollo però, Jackson rivela le sue reali intenzioni: uccidere il vicesegretario alla sicurezza interna Charles Keefe (Jack Scalia) e Lisa, in quanto direttrice dell’hotel dove il funzionario è alloggiato, rappresenta la chiave per il successo dell’operazione. Se rifiuta di collaborare, suo padre (Brian Cox) verrà ucciso da un killer. A novemila metri, Lisa è stretta tra la scelta si salvare il padre o condannare a morte un uomo.
E proprio come in Flightplan con Jodie Foster, in uscita quasi in contemporanea nelle nostre sale, anche qui è l’aereo, con tutte le ataviche paure che si porta dietro, ad avere il ruolo del protagonista. «L’aereo - spiega il regista atterrato a Roma per incontrare la stampa - rappresenta un distillatore delle caratteristiche dei personaggi. Ad esempio Lisa, visti gli spazi angusti, non ha tante vie di fuga e non può chiedere aiuto agli altri passeggeri. Deve trovare la forza solo in se stessa». E aggiunge, a scanso di equivoci: «Non volevo assolutamente parlare di terrorismo ma dello scontro tra i sessi. Mi ha divertito il confronto tra il mondo maschile e quello femminile. Così ho inserito l’elemento classico della damigella in pericolo. La donna è sempre stata ritratta come la più debole.

Ma qui c’è l’ironia del paradosso perché ormai non è più così».

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