da New Delhi
Tra grandi aspettative, ingenti misure di sicurezza e manifestazioni di protesta, il presidente statunitense George Bush è giunto ieri, dopo un blitz in Afghanistan, in India, nella sua prima visita, di tre giorni, a un colosso emergente sempre più cosciente della sua forza e del suo ruolo di potenza regionale.
Bush, che comincerà i suoi incontri oggi, è stato accolto a New Delhi dal primo ministro indiano, Manmohan Singh, in una città blindata per motivi di sicurezza, con uno spiegamento di forze senza precedenti. Sin dalle prime ore del mattino strade chiuse, controlli ovunque e massima allerta. Traffico bloccato nella zona delle ambasciate (dove si trova anche la rappresentanza americana) e veicoli della polizia ad ogni angolo di strada.
Decine di migliaia di manifestanti hanno marciato ieri nella capitale sfidando i blocchi delle forze dell'ordine. Dopo avere bruciato bandiere americane e immagini del presidente George W. Bush, la folla si è riunita nei pressi della grande moschea di Jama Masjid urlando «morte a Bush» e «Bush torna a casa».
Proteste anche nelle altre metropoli del Paese. A Calcutta sono sfilate 25.000 persone di gruppi di sinistra, a Bangalore 200 studenti attivisti hanno bruciato effigi di Bush.
Le aspettative per la visita, in un Paese con un miliardo di abitanti in un tumultuoso processo di sviluppo a tutti i livelli e potenza nucleare, sono alte. Al centro dell'attenzione la questione di un accordo sul nucleare civile, definito nei suoi principi generali già lo scorso luglio, durante la visita del premier indiano a Washington, ma non ancora formalizzato.
La bozza di accordo prevede la fornitura all'India da parte degli Stati Uniti di tecnologia e combustibile per i reattori civili, purché New Delhi tenga separati i programmi nucleari militari e civili e autorizzi ispezioni dell'Aiea.
Rimangono, tuttavia, divergenze tra i due Paesi negli Stati Uniti, a causa della netta opposizione dell'India alla firma del Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp) e dei timori degli Stati Uniti di possibili fughe di tecnologia «sensibile» verso Paesi come l'Iran.
New Delhi è pronta a mettere sotto la sorveglianza internazionale dell'Aiea il 65% delle centrali nucleari esistenti, che significa 9 su 15. Non rientrerebbe nella lista un reattore «fast breed» sperimentale. Il premier ha promesso agli scienziati nucleari indiani che «l'India non comprometterà la sua sicurezza nazionale». Occorre vedere a questo punto se la proposta indiana è «credibile», come ha chiesto la Casa Bianca.
I colloqui in vista dell'accordo sono in una situazione delicata e non è scontato il successo dei colloqui tra Bush e Singh. «L'India è un Paese estremamente geloso della sua sovranità nazionale, anche se i sentimenti di simpatia e amicizia verso gli Stati Uniti sono sempre più forti, ma sempre su un piede di parità», hanno detto fonti diplomatiche indiane citate ieri dal quotidiano New York Times.
I fautori dell'accordo, altrettanto agguerriti quanto i contrari, sostengono invece che la sua conclusione servirebbe ad avvicinare maggiormente Washington e New Delhi, con notevoli vantaggi commerciali e sviluppo dei rapporti politici tra quelle che sono le due più popolose democrazie del mondo.
Intanto è alto il fermento tra il miliardo di abitanti, che ospita l'intera gamma di posizioni politiche: dai fondamentalisti hindu e islamici fino ai guerriglieri maoisti, passando per i nuovi capitalisti seguaci del liberismo senza freni.
Per oggi e domani, con Bush a New Delhi, la capitale sarà in stato di massima allerta.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.