Roma «Bos-si, Bos-si, Bos-si...». Forse l’ovazione più muscolosa, dopo quella per Silvio, si sente quando sale sul palco il Senatùr. Eppure a gridare non è soltanto il drappello di simpatizzanti leghisti presenti in piazza assieme a una decina di parlamentari del Carroccio, ma anche gli ultras pidiellini. Ex An o ex Forza Italia, che importanza ha? Applaudono l’Umberto perché «lui sì che è un alleato fedele e corretto...» e mettono il sigillo al patto d’acciaio tra Berlusconi e Bossi, irrobustito dall’abbraccio tra i due, sulla ribalta di piazza San Giovanni.
Sono lontanissimi i tempi del ribaltone e dello sgambetto al primo esecutivo targato Cavaliere. Ora tra Silvio e Umberto c’è qualcosa di più che un’intesa: «Siamo qui con un alleato forte, con un amico cui mi sento legato non solo da amicizia ma anche da fraterno affetto», urla nel microfono il premier e Bossi arriva, saluta i suoi col pugno chiuso e accenna a un sorriso. «La nostra alleanza terrà e Umberto è uomo di grande equilibrio e lealtà. Non c’è stato un solo caso in questi due anni di governo in cui non siamo stati d’accordo», dice e Bossi annuisce soddisfatto. «È un uomo del popolo, uno di noi che ha gli stessi principi e valori, lontano dai salotti chic». E la gente applaude e grida «Bos-si, Bos-si, Bos-si». Vuole parlare, il Senatùr. Vuole confermare quanto detto dall’amico oltre che alleato: «Con il governo di Berlusconi faremo le riforme perché questo Paese ha bisogno di essere riformato», dice e poi ricambia il complimento dell’«essere uomo del popolo»: «Io e Silvio siamo diventati amici quando capii che era uno che la pensava come il popolo - ricorda alla marea azzurra Bossi -. Fu quando lui in Europa non firmò il provvedimento sulla famiglia trasversale. Non ebbe paura dell’apparato europeo, andò in Europa e chiese cosa significasse famiglia trasversale e non firmò la cosa». I due si abbracciano e la piazza apprezza, applaude. Tra Silvio e Umberto è miele allo stato puro: «Io e Silvio siamo grandi amici, non credete ai giornalisti che scrivono delle stupidaggini...». Amicizia vera, disinteressata, anche perché, giura il Senatùr: «Io sono uno dei pochi che non gli ha mai chiesto una lira», e la gente ride. Quindi avanti così, insieme, per fare quello che «già stiamo facendo. Per esempio fermando l’immigrazione clandestina. La sinistra ha pensato di sostituire i voti dei lavoratori che ha perso con quelli del proletariato che viene dall’estero...» e Berlusconi gli toglie la parola: «È vero: abbiamo fermato l’immigrazione clandestina mentre la sinistra vuole spalancare le porte agli immigrati per alterare gli equilibri del voto, sapendo che noi moderati siamo la maggioranza del Paese».
E via con un altro abbraccio che sembra attutire quell’aria da derby tra le truppe leghiste e quelle pidielline. Una partita giocata con qualche colpo basso visto che appena venerdì scorso non erano mancate le frecciate di Ignazio La Russa, Andrea Ronchi e Roberto Formigoni dirette proprio al leader del Carroccio, reo di aver criticato la litigiosità nel Pdl e denunciato una sorta di immobilismo della Lombardia. Sotto il palco la delegazione di 5 deputati e 4 senatori minimizza gli screzi tra cobelligeranti con la parola d’ordine: «Siamo alleati fedeli e leali, noi». In prima fila Massimiliano Fedriga, Consiglio Nunziante, Fulvio Folegot e altri: tutti lì per i due candidati governatori del Carroccio, Roberto Cota e Luca Zaia (assente perché colpito da un lutto in famiglia, ndr). L’onorevole Fedriga giura che se l’esito positivo dello scontro in Veneto pare scontato a favore di Zaia, anche in Piemonte le cose stanno cambiando: «Quelli del Pd cominciano ad avere paura del nostro Cota. Siamo lì lì e più passano i giorni più rosichiamo punti alla Bresso». Nessun cannibalismo ai danni del Pdl? «Di certo faremo il pieno al Nord.
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