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E brava Milena Agus, meglio scrivere che lavorare

Chissà perché gli scrittori quando rilasciano interviste parlano sempre di quanto è faticoso scrivere. Sarà che noi giornalisti non siamo molto originali e la domanda sulla scrittura non manca mai. C’è chi scrive la mattina, chi la sera, chi in pigiama, chi si rade e si veste a puntino come se dovesse andare in ufficio. Ognuno ha il suo tic: c’è quello che scrive a penna su quaderni a quadretti e quello a lapis sul quaderno a righe. Chi usa il computer e stampa ogni pagina, chi detta alla moglie. Ognuno ha un modo diverso di avvicinarsi alla temutissima pagina bianca. Una cosa però li accomuna tutti: si prendono molto sul serio e (tranne pochissime eccezioni) sostengono che scrivere è l’attività più pesante che possa capitare a un essere umano, attività semi-ascetica impregnata di sacrifici, rinunce e fatiche.
Pescando a caso tra i ritagli dei giornali accumulati sulla scrivania, ecco alcuni esempi eclatanti. Orhan Pamuk, romanziere turco e recente premio Nobel (Corriere della Sera del 12 giugno scorso): «Per diventare scrittore pazienza e fatica non bastano: si deve innanzitutto provare l’impulso irresistibile a fuggire la gente, la compagnia, la consuetudine, la quotidianità, e a chiudersi in una stanza». E.L. Doctorow (Il Giornale, 12 giugno), scrittore americano, alla domanda: lei scrive quando si sente ispirato? risponde: «No, devi lavorare ogni giorno, come chiunque altro. Se ciondoli qua e là in cerca d’ispirazione non combini nulla. Il lavoro è lavoro, e più lavori più il lavoro genera lavoro. Lavoro tosto. E noi che lo facciamo abbiamo una certa nobiltà». Si potrebbe continuare per pagine intere.
Per questo svetta su tutti la semplicità di Milena Agus, la scrittrice rivelazione della stagione con il bel libro Mal di pietre (Nottetempo), finalista allo Strega, 50mila copie vendute in Francia e buone vendite anche in Italia, sebbene il libro sia praticamente introvabile. Questa insegnante sarda, se li mangia tutti in un boccone. In un’intervista a «Specchio» della Stampa, Milena Agus spiega: «Io scrivo per me. Se no, sto male. Adesso non posso fare a meno di parlarne, perché mi intervistano, perché l’editore mi telefona. Ma io, se no, taccio sulla scrittura. È una cosa che tengo per me.

Dico: “Devo stirare”, dico: “Devo lavorare a scuola”, ma non dico mai: “Devo scrivere”».
Brava Milena, non ancora contaminata dal circo mediatico letterario, che ha il coraggio di ammettere: meglio scrivere che lavorare. Persino meglio che stirare.
caterina.soffici@ilgiornale.it

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