La guerriglia urbana con il seguito di saccheggi e incendi che infiammano Londra e dintorni fa correre un frisson lungo la schiena dei manettari del Fatto quotidiano. Che ne vedono la miccia in grado - con un po’ di sforzo, qualche spintarella e la rinuncia alle balere d’agosto, perché si sa: la rivoluzione non ha orari né pause pranzo - di far brillare la santabarbara mettendo anche l’Italia a ferro e fuoco. Nostalgia, quella dei manettari, non delle svenevoli piazze dei girotondini, delle Onde e del ceto medio riflessivo. Ma di quelle toste, delle botte da orbi del G8 di Genova con tanto di eroe («civile», va da sé) caduto sul campo. E siccome se non ora, quando?, un pezzo da novanta, la bombarda del Fatto Flores d’Arcais sospende gli ozi balneari per impugnare la penna e fornire alla carne da piazza le pezze d’appoggio ideologiche alle auspicate violenze («civili», ovvio). Di primavere arabe neanche a parlarne, onestamente ammette il d’Arcais, in quanto malauguratamente non siamo nel Maghreb. Però poco ci manca. E poco ci manca perché anche dalle nostre parti c’è tanta «rabbia e esasperazione», soprattutto fra le «masse giovanili». E dunque «l’ondata di collera può solo espandersi e radicalizzarsi». Ed è una «rabbia sacrosanta», per cui fatevi sotto, masse giovanili: sfasciate tutto. Poi, con soave colpo di coda, d’Arcais conclude: però occhio, masse giovanili, «le rivolte rischiano di restare senza sbocchi, addirittura manovrabili da nuovi fascismi», e non so se mi spiego, «se i movimenti sociali non si attrezzeranno a diventare anche soggetti politici ed elettorali». In sintesi: menate, bruciate, devastate e saccheggiate pure, ma a tradurre le macerie fumanti in politica, cioè in potere, spetta a chi ha il cervello, ovvero a me e alla mia ganga.
Flores d’Arcais non è certo uno che si cura dei particolari, che lascia dunque alle cure della pirotecnica Roberta Zunini, la quale nel suo squisito corsivo comincia a ribattezzare in «del pane e del lavoro» - che fa più Novecento di Bertolucci e quindi più glamour - la «primavera» tunisina. Scoppiata, poi, per via di un certo Bouazi «laureato ma costretto a fare l’ambulante abusivo per l’assenza di mobilità sociale (parentesi: il fatto che un laureato, classe sociale A, si ritrovi a fare l’ambulante, classe sociale B, è segno che la mobilità di quel genere va che è una meraviglia) e per la corruzione innescata dal regime di Ben Alì». Innescata? Innescata. Venendo poi al sodo, Zunini tiene a sottolineare che la «nota dissidente e giornalista scomoda» Bensedrine ebbe già a dire: «Speriamo che i giovani tunisini portino questa rivoluzione oltre i confini della Tunisia (...) contro i regimi e per la democrazia». Desiderio avverato, conclude Zunini riferendosi agli «indignati» spagnoli e greci, agli studenti cileni e ai «giovani del ceto medio» israeliani. Però, mannaggia, «finora solo per quanto riguarda la diffusione delle proteste». E quel che si vuole al Fatto , quello che richiede il venerato maestro d’Arcais, è la piazza a ferro e fuoco, non il mugugno.
C’è il solleone, d’accordo. Però, anche col sole che picchia in testa, invitare o addirittura sollecitare le nostrane «masse giovanili» a darsi una mossa, a raccogliere il testimone dai ragazzotti d’oltremanica («criminali», per David Cameron; apostoli della «cittadinanza democratica», secondo d’Arcais) e calare in piazza per mettere sottosopra il Paese (o rivoltarlo come un calzino, come direbbe un altro noto manettaro) è iniziativa che sfiora il golpe. Sorprendente, quanto meno. Specie venendo da un cenacolo giornalistico come quello che fa capo al Fatto e che la mena senza cessa con la democrazia, la costituzione, il dialogo&confronto (e che hanno i lettori che si meritano.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.