Politica

E c’è un don Matteo no global che imbarca clandestini

PadovaProbabilmente è stato l’onorevole Massimo Bitonci, sindaco leghista di Cittadella, a ispirare il titolo di apertura di ieri del quotidiano La Padania: «Clandestini, in Italia la regia degli sbarchi». L’avrà fatto dopo aver letto il bollettino parrocchiale della frazione Ca’ Onorai, sempre a Cittadella. Sì, perché don Matteo Ragazzo, giovane parroco già assurto agli onori delle cronache per avere sparato contro l’eccessiva opulenza di Papa Ratzinger («il giorno di Natale la scena era veramente imbarazzante: un vecchio papa vestito da Dio, di fronte a Dio vestito da bambino piccolo, povero e nudo»), ha messo nero su bianco la regia italiana paventata dal giornale leghista.
«Se avessi famiglia - scrive don Matteo sotto una foto di immigrati clandestini stesi su una spiaggia e un’altra del ministro Roberto Maroni, unite dall’eloquente didascalia “Forti con i deboli... ” - e abitassi in Somalia, Etiopia, Congo, Uganda, Ruanda, Burkina Faso, Angola, Malawi, Zimbabwe, Sudan, Libia, Nigeria, Niger verrei in Europa a riprendermi almeno in parte, quello che l’Europa e le multinazionali hanno rubato e stanno rubando nel mio paese. E se trovassi leggi, ordinanze o decreti che tentano di fermarmi non mi spaventerei, perché anche io come te, ho il diritto di dare un futuro ai miei figli e alla mia famiglia».
La politica italiana sull’immigrazione si fa e si disfa a Cittadella. Prima è stato il sindaco Bitonci a introdurre minimi reddituali e l’idoneità delle abitazioni quali requisiti necessari per ottenere la residenza nel comune, una scelta a cui si è ispirato lo stesso ministro Maroni nella stesura del capitolo dedicato all’immigrazione all’interno del decreto sulla sicurezza; e adesso è questo sacerdote terzomondista, rispolverando vecchi cliché cari alla sinistra comunista affascinata dalla teologia della liberazione, a suggerire «rimedi» alternativi, anzi, opposti. Del resto, sempre sul bollettino di Ca’ Onorai, diventato il manifesto del cattocomunismo in terra leghista, don Matteo Ragazzo si era sentito in dovere di gridare Urbi et Orbe che «quando vedo il Papa che va in piazza San Pietro con il Camauro rosso bordato di ermellino bianco in testa, non so se ridere o piangere e mi chiedo come può, un Papa che sceglie di vestirsi così, darmi dei consigli o suggerirmi delle linee efficaci, per trattare i miei ragazzi, le mie famiglie, la mia comunità parrocchiale».
In compenso, lui di consigli agli immigrati clandestini ne dà a iosa: vieni pure qui, è un tuo diritto, dice in sostanza al clandestino-tipo, «visto che i tuoi mobili sono fatti con il mio legno, le tue grondaie con il mio rame, i tuoi cellulari con il mio Coltan, le batterie dei cellulari con il mio nichel e il mio litio, la tua energia elettrica con il mio uranio, il tesoro delle tue banche con il mio oro, l’anello di tua moglie con i miei diamanti, la tua auto con il mio ferro e la tua benzina con il mio petrolio». Don Matteo dice di essere pronto a qualunque conseguenza per le sue parole, anche ad essere trasferito: «Ma non posso lasciare la mia coscienza in soffitta. Soprattutto quando sento dire dai bambini della mia parrocchia frasi come negri bastardi».
Bitonci, che è un tipo pratico, tira dritto: «Noi gli immigrati vogliamo aiutarli a casa loro. I respingimenti hanno come unico scopo quello di far cessare queste immani tragedie umane».

La replica nel prossimo numero del bollettino di Ca’ Onorai.

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