E Capezzone rilancia: tassa al 20% per tutti ecco come si può fare

da Milano

Questa Finanziaria «è un provvedimento debole, debolissimo, di pura sopravvivenza per il governo; e sul piano fiscale di un minimalismo omeopatico che non serve a nulla e a nessuno». Usa il suo abituale tono pacato ma tagliente, Daniele Capezzone, presidente della commissione Attività produttive della Camera. Ma quelli che fa piovere sulla stessa maggioranza di cui fa parte sono autentici macigni. «Il Paese ha bisogno di uno choc fiscale capace di farci voltare pagina», aggiunge. L’esponente della Rosa nel pugno è salito ieri a Milano per presentare nella capitale economica il suo network di pensiero liberale Decidere.net insieme con il progetto di una flat tax, ovvero di una tassazione dei redditi con aliquota unica del 20%. Progetto che, come spiega l’onorevole Antonio Martino, «costituisce un’idea semplice, accattivante, facile da capire e che tra l’altro era già nel programma di Forza Italia del ’94. Un progetto non utopico, non velleitario. Un progetto, insomma, che si può fare. E se non da noi, da chi? E se non ora, quando?», si domanda (e domanda) l’ex ministro inglobando nel duplice interrogativo l’implicito auspicio di una rapida fine dell’attuale governo. La risposta? Un prolungato ed entusiastico applauso.
Le cifre della fattibilità le fornisce lo stesso Capezzone, spiegando come il costo del passaggio in un quinquennio a una tassazione con aliquota unica del 20% potrebbe essere coperto da un taglio della spesa pubblica dell’1% annuo, al netto della spesa per investimenti e interessi sul debito, con una riduzione della spesa pubblica complessiva, in rapporto al Prodotto interno lordo, dello 0,4% annuo, pari al 2% in cinque anni, ovvero dal 51% al 49%. Secondo Capezzone, infatti, «solo un’aliquota inferiore al 23% andrebbe a beneficio di ciascun contribuente», per arrivare così gradualmente all’auspicata flat tax del 20%.
Il costo annuo di questa rivoluzione fiscale, che si gioverebbe peraltro del «verosimile recupero di gettito derivante dall’emersione di nuova base imponibile», sarebbe di 36 miliardi di euro, calcola l’esponente radicale. Che fornisce ovviamente anche la risposta con cui tappare la bocca ai tanti cacadubbi - infarciti di ideologia quanto privi di fantasia - sempre pronti a obiettare come farebbe il Paese a permetterselo. La ricetta è un mix tra diverse possibili voci di copertura. Dall’abolizione di Province e Comunità montane (escluse le spese per il personale) si ricaverebbero oltre 6 miliardi di euro annui dal 2008; 14,5 sarebbero quelli che dalla stessa data avanzerebbero grazie all’abolizione dei trasferimenti alle imprese.
Ma è soprattutto sulla pubblica amministrazione che il network di Capezzone propone di intervenire con maggiore decisione. Il blocco del turn over del personale darebbe 12,5 miliardi annui dal 2009; la moratoria della contrattazione nel pubblico impiego ne varrebbe 9, a cui se ne potrebbero aggiungere 3 grazie allo sfoltimento del 70% delle consulenze esterne e ulteriori 6 - sempre annui - dalla risoluzione dei rapporti d’impiego precari.

Cifre alle quali vanno anche sommati i vantaggi contabili derivanti dall’innalzamento a 65 anni dell’età pensionabile per tutti: ovvero 1 miliardo nel 2011 che a partire dal 2018 si tradurrebbe in una cifra annua di 7 miliardi. Una ricetta, insomma, quanto mai liberale. Forse troppo, in un Paese dove «liberalismo» è parola poco conosciuta. Nonché, da sempre, merce ancor più rara.

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