E il cinema sexy divenne «manifestamente» pubblico

Ecco le foto che Marialba Russo scattò alle locandine dei film erotici negli anni '70, quando le donne erano davvero femministe

E il cinema sexy divenne «manifestamente» pubblico

Cosa accadrebbe oggi, pochi giorni dopo in cui qualcuno ha spiegato che il bacio del principe a Biancaneve si configura come un sopruso in quanto lei addormentata non sarebbe stata consenziente, cosa accadrebbe insomma se una fotografa andasse in giro a cercare immagini tra il soft e l'hardcore per catalogarle e poi stamparle? Pur essendo una donna - un maschio sarebbe del tutto improponibile, roba da denuncia, pubblico ludibrio, cancellazione - il suo lavoro risulterebbe ambiguo perché la società contemporanea non solo è intrisa di puritanesimo e falsa coscienza, ma ha persino dimenticato quanto siano state importanti certe conquiste del recente passato.

Negli anni Settanta le femministe erano toste, combattenti, sfrontate e senza paura, non come adesso stormi di signore di mezza età piagnucolanti che il loro unico contributo alla storia dell'umanità consisterà nell'aver storpiato la lingua italiana in nome della parità del genere, introducendo termini che non esistono tipo «sindaca», «assessora», «avvocata» se non addirittura di sostituire la vocale finale con un asterisco (e siamo all'aberrazione). Quelle degli anni Settanta erano cattive e militanti: Carole Schneeman estraeva dalla propria vagina un rotolo di carta dove era scritta una poesia, Lynda Benglis comprava una pagina di pubblicità su Artforum fotografandosi nuda con un sovradimensionato fallo di lattice, Valie Export entrava in un cinema a luci rosse di Monaco, patta aperta dei calzoni e fucile in mano, «Vediamo se hai coraggio di avvicinarti», sembrava dire ai malcapitati spettatori. Diverse in Italia criticavano lo sfruttamento mediatico del corpo femminile - Paola Mattioli, Libera Mazzoleni, Tomaso Binga - non censurando il nudo, bensì sbattendo in faccia la sessualità più esplicita e mercificata.

Immaginiamoci Napoli tra il 1978 e il 1980, tra il terrorismo e il terremoto dell'Irpinia. Immaginiamoci la fotografa allora trentenne Marialba Russo in giro per la città a cercare (e immortalare) i manifesti dei film a luci rosse, industria fiorente del cinema italiano proprio alla fine degli anni Settanta, ultimo esempio di sottogenere produttivamente significativo prima dell'avvento delle tv commerciali e del progressivo spostamento della pornografia sull'home video.

Nell'Italia che aveva mandato al rogo Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci, massacrato con i tagli della censura sia Salò di Pasolini sia Caligola, a quel punto rigettato da Tinto Brass, si concedeva ampio spazio pubblico a filmetti soft-porno di dubbio valore artistico, con titoli e soggetti fantasiosi: la parodia boccaccesca del Decameron pasoliniano, il sapore d'oriente e del kamasutra (Confessioni di una concubina), il fascino del proibito (Rivelazioni erotiche di una governante). Il tema ricorrente, derivante in egual misura dall'esperienza di Gola profonda e proprio dalle rivendicazioni femministe in merito di sesso, sta nell'autoconsapevolezza nonché nel diritto di raggiungere l'orgasmo come scopo primario, altro che procreazione e sottomissione: ecco dunque Il diritto di piacere; Piacere di donna (con Edwige Fenech); L'insaziabile; Voglia di donna (con due star del porno, Laura Gemser e Ilona Staller). Questi e altri i manifesti «trovati» e fotografati a Napoli da Marialba Russo in quel biennio, a lungo rimasti nel cassetto, vengono proprio ora alla luce con una manovra controcorrente e coraggiosa per la mostra Cult Fiction al Centro Pecci di Prato (aperta fino al 6 giugno). Sono circa 60 e rappresentano un fedele spaccato di un fenomeno nei cui confronti non viene emesso alcun giudizio, né enfasi né morale né tanto meno condanna. Russo lascia a noi il compito di prendere una posizione e di avvalerci di questo materiale - inerte e non manipolato - a seconda della nostra sensibilità. C'è da chiedersi perché l'artista abbia voluto attendere così tanto tempo per rimettere in giro questo lavoro. Certo oggi a nessuno verrebbe più in mente di veicolare immagini e parole così esplicite e unilaterali rispetto al corpo femminile, almeno nel contesto pubblico. Siamo circondati e assaliti da divieti, nessun'ironia né sarcasmo è permesso, da qui in poi toccherà stare molto attenti a ciò che diremo e come lo diremo. Però qualsiasi espressione del sesso è disponibile gratuitamente in rete, soprattutto ai minori, senza controllo alcuno.

Vien quasi da sorridere di fronte all'archeologia del porno, così ingenua e disegnata (i pittori dei manifesti erano bravissimi a eccitare lo sguardo senza mostrarci nulla).

Onore al coraggio militante di Marialba Russo, si stava decisamente meglio quando le donne manifestavano in piazza piuttosto di oggi, che da una parola in su finisci alla gogna, in tribunale, davanti al tribunale del popolo e anche peggio.

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