E il cinico Cheney punta sul «fifty-fifty» per vincere tutto

In caso di parità tra Repubblicani e Democratici sarà il parere del vice presidente a decidere ogni legge che passerà dal Senato. E per i prossimi due anni il destino di Bush sarà nelle sue mani

Giuseppe De Bellis

nostro inviato a New York

Dick Cheney ha già il fucile in mano. Ieri è andato a caccia, di quaglie, non di voti. È la prima volta che ci riprova dopo aver impallinato un amico lo scorso febbraio. Ma il vice presidente è pronto, se il caso lo metterà di fronte ai due anni più belli della vita: perché Cheney che mezza America detesta e all’altra metà incute timore, l’uomo più discusso, il politico più impopolare, l’avversario più duro, può diventare il simbolo delle elezioni di mid-term. C’è una possibilità raccontata dai numeri: se domani l’America si sveglia con un Senato composto da 50 democratici e 50 repubblicani, allora tocca a lui. Si scaldi le mani. Lo dice la Costituzione: il vicepresidente è anche presidente del Senato. Non ha diritto di voto, ma deve votare se esiste una parità dei due schieramenti. Cheney ha la carabina puntata: il pareggio è nell’aria. Fifty-Fifty. La pacchia per Dick, che si porta appresso la nomea di portasfortuna da una vita e che soprattutto non vede l’ora di togliersi qualche soddisfazione con i democratici che l’hanno sempre dipinto come il diavolo.
Lui è l’amico fedele di George W. Bush: questo voto può metterlo nero su bianco. Il presidente rischia di dipendere dal suo vice per i prossimi due anni. E con lui sa che alla Camera alta del Congresso il controllo c’è: commissioni, voti, inchieste parlamentari, eventuali richieste di impeachment. Dal Senato passa tutto. Cheney sarà là ogni volta che repubblicani e democratici si scanneranno e non troveranno un’intesa. Li chiamano tie-break vote e rompono l’impasse: il vicepresidente vota e decide per tutti. È successo 242 volte nella storia degli Stati Uniti d’America. Dick ha già provato l’ebbrezza: sei volte s’è dovuto presentare al Campidoglio e risolvere la questione. Adesso potrebbe toccargli ogni giorno. Con tutto il sangue amaro dei democratici. Loro lo odiano: detestano il suo modo di fare, lo definiscono corrotto, imbroglione, volgare. Solo stati i liberal a dargli del «porta jella»: dicevano che quando c’era lui un’amministrazione non durava. Erano gli anni ’70 e Cheney aveva appena finito il primo passaggio alla Casa Bianca: capo dello staff di Gerald Ford. Il presidente non fu rieletto. Era già stato nel team di Richard Nixon e le cose erano andate male. Dick si prese la nomea e si candidò al Congresso: per 14 anni è stato tra i banchi repubblicani a organizzare il futuro e a votare. Contro la legge sull’acqua potabile sicura, contro l’aborto in caso di stupro, le specie protette, l’impegno Usa per il rilascio di Nelson Mandela dalle prigioni del Sud Africa. La gente del Wyoming voleva così: il suo collegio era quello, lui era a Washington perché loro l’avevano scelto.
Poi arrivò Bush padre: era il 1989 e gli affidò il Pentagono. Fece la prima Guerra del Golfo e tornò a casa: il presidente non fu rieletto. La maledizione di Dick, ancora. Ritornarono le battute dei democratici: «Ehi c’è Cheney, la Casa Bianca sarà presto vuota». Avevano già provveduto a tutto il resto: la mancata partenza per la guerra in Vietnam, il matrimonio, la nascita della prima figlia. Ogni questione della vita privata di Cheney era argomento di dibattito politico. «Imboscato», gli hanno sempre ripetuto. Perché non partì per il Vietnam: rinvio per motivi di studio e poi per motivi familiari. Il matrimonio con Lynne nel 1964, anche quello sospettato di essere strumentale: il Congresso non mandava gli uomini sposati al fronte. L’anno dopo nacque Elizabeth, la prima figlia. Contestato pure questo: nel 1965 il Pentagono cominciava a rifiutare il rinvio degli uomini sposati e senza prole. La figlia è stata usata anche dopo. L’altra, però: Mary che è dichiaratamente lesbica. Stavolta i cattivi sono anche gli alleati repubblicani che la giudicano una persona scomoda. I democratici ne approfittano, perché sulla questione Dick il duro diventa vulnerabile.
Non piace proprio, Cheney. E a lui non piacciono i democratici. Questione di carattere: uomo di montagna, metodista, di poche parole e spicce, non si trova a suo agio con gli affabulatori liberal. Da sei anni è «a un battito di cuore dalla presidenza Usa», come dicono a Washington. Nel suo caso la definizione è precisa: Dick ha quattro by-pass, il cuore gli funziona così così. Ha annunciato che dal 2008 lascerà la vita pubblica per sempre.

Prima può guidare la politica americana per due anni: tenere una Camera intera nelle sue mani. Non ci crede neanche lui: è meglio che essere vice presidente. Stavolta porta sfortuna agli altri: fifty-fifty per lui è una rima simpatica. Suona come una marcia della vittoria.

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