E per Draghi è in salita la strada che porta alla vetta della Bce

Come si scrive in questa stessa pagina, è un momento complicato per i numeri uno delle banche centrali. Persino un fuoriclasse come Ben Bernanke è sotto tiro. È diffusa la sensazione che, nonostante la crisi del 2008, alcune grandi banche abbiano ancora con i mercati globali non un rapporto da protagoniste ma da dominatrici, accumulando di riflesso ingiusti privilegi anche in casa propria. E questo discredito in parte si riflette sui «controllori».
Il fenomeno è meno sensibile in Italia perché la dialettica tra istituzioni politiche e autorità di sorveglianza è stata qui assolutamente franca (nonostante tutte le beghine che ci spiegano come non si debba mai criticare Banca Italia: salvo poi vedersi scoppiare in mano i casi Fazio) e se sul momento questo ha creato tensioni, alla lunga ha determinato una maggiore chiarezza di fondo, preziosa oggi per Mario Draghi. Semmai l'unica cosa che danneggia il governatore non è tanto il suo atteggiamento quanto l'agitarsi di certi suoi fan: i vari liberisti immaginari che cercano di prendere in una morsa insieme da destra e da sinistra il governo, i vari personaggi dell'economia che usano della politica per contare di più nelle imprese in cui hanno un ruolo, i vari politici che per pesare contano su tutto tranne che sui voti degli elettori.
Certamente non è «un draghista d'ordinanza» l'eccellente diplomatico Antonio Puri Purini. Però anche lui non fa un grande servizio al governatore impegnandosi, ieri sul Corriere della Sera, in una campagna elettorale per eleggerlo presidente della Banca centrale europea al posto di Jean-Claude Trichet sotto lo slogan: è l'ultima occasione per rimediare agli errori «europei» del governo italiano. In realtà, lo testimoniano decine di casi (l'ultimo: la vittoria dell’Eni in Uganda) Roma ha acquisito una buona centralità nei processi internazionali con qualche difficoltà a Bruxelles perché in un parlamento notoriamente disponibile a scappatelle estremizzanti, la sinistra italiana invece di avere sempre attenzione agli interessi nazionali, si è fatta trascinare in tanti casi in antiberlusconismi da avventurieri dipietristi. Questi comportamenti hanno colpito prima Rocco Bottiglione, poi Mario Mauro e alla fine anche Massimo D'Alema. Certi toni di Puri Purini non aiutano in questo senso a superare la situazione che sarà affrontata solo se la sinistra (e il caso D'Alema esami di coscienza ne ha provocati) riformerà il proprio stile di azione.
Quanto a Draghi, la strada europea gli è certamente aperta dalle sue qualità ma trova alcuni ostacoli che non riguardano il governo italiano. Alcuni sono ricordati da Federico Fubini nella stessa pagina del Corriere che ospita l'articolo di Puri Purini: il crescente ruolo affidato a Paul Volcker da Barack Obama di fronte alle incomprensioni con certe grandi banche americane, ridimensiona il ruolo di un altro consigliere obamiano, Larry Summers, protagonista anche della stagione della presidenza Clinton quando il legame tra «banche globali» diede il leit motiv a tutta la politica economica della Casa Bianca. E con tale politica e ambienti non mancano i legami a Draghi. Vanno anche valutate le osservazioni di Alex Weber, presidente della Bundesbank e altro candidato alla successione di Trichet, sul Wall Street Journal intorno al caso Grecia, l'insistenza, rivolta al Fmi, sul fatto che l'Unione europea debba contare sulle proprie forze.

In una fase in cui Obama accentua, pur con contraddizioni (vedi caso Google) l'asse privilegiato con la Cina, le voci europee per una maggiore autonomia continentale (da non scambiare certo con una contrapposizione a Washington) diventano più consistenti. E questo potrebbe contare su chi verrà scelto per Francoforte. Molto di più che «il calo di prestigio» di Roma.

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