Roma - A incrociare i deputati del Pdl indaffarati nei capannelli di Montecitorio non ce n’è uno che non abbia la sua personale ricetta per risollevare il Popolo della libertà dallo stato di catalessi cronica in cui versa. Soprattutto, non ce n’è uno che guardi con un pizzico di ottimismo al dopo regionali, non tanto per il risultato che uscirà dalle urne quanto perché convinti che sarà quello il momento del redde rationem.
Il pasticcio del Lazio, d’altra parte, è solo l’ultimo atto di un continuo braccio di ferro che va avanti ormai da più di un anno. Nato inizialmente come un fisiologico scontro tra due partiti con storie e tradizioni diverse, allargatosi presto ai due leader che più volte si sono trovati su posizioni diverse e infine - come fosse un’onda anomala - tornato a cascata prima sui triumviri Bondi-La Russa-Verdini (che negli ultimi mesi di motivi di frizione ne hanno avuti molti), poi sui dirigenti di prima fascia (sintomatico il caso Campania con lo scontro Bocchino-Cosentino) e infine sulle ultime file. Quelli che Berlusconi nella cena di domenica scorsa a Villa Gernetto non ha esitato a definire «una massa di cretini». Già, perché la vicenda del Lazio fotografa alla perfezione lo stato dell’arte. C’è il dualismo tra Berlusconi e Fini (il primo avrebbe volentieri candidato la Todini, il secondo ha spuntato la Polverini), ci sono i potentati che si muovono (sotto accusa è soprattutto Alemanno) e ci sono le piccole guerre tra bande (da una parte gli ex Forza Italia Pallone e Sammarco, dall’altra l’ex An Piso) che hanno causato materialmente il pasticcio.
C’è, ovviamente, lo scaribarile e il rinfacciarsi a vicenda responsabilità. Anche ai massimi livelli. Berlusconi, infatti, è convinto che il problema sia di Fini, perché la Polverini era stata voluta da lui e perché il coordinatore regionale del Pdl nel Lazio è un ex An. Mentre il presidente della Camera, pur non contento dell’operato dei suoi, punta il dito sugli ex azzurri. Di certo, c’è che tutti e due ce l’hanno con Alemanno. Il Cavaliere in particolare, visto che ancora ieri il sindaco capitolino s’è sorbito l’ennesima ramanzina: «Ti ho fatto vincere a Roma e mi combini un casino del genere. Ma come ti è venuto in mente?». Non contenti, le divisioni restano anche sulle contromosse. Se Bondi, La Russa e Verdini sono uniti nel dire che «escludere il Pdl sarebbe un grave vulnus», l’appello alla mobilitazione di piazza di Alemanno viene rispedito al mittente da tutta la componente azzurra del Pdl. «Portare la rabbia in piazza per nascondere negligenze o inadempienze - dice Napoli, vicepresidente dei deputati - non sta nelle corde di chi un tempo è stato democristiano, socialista, repubblicano o liberale». Come dire che è roba da fascisti.
Uno spaccato che dà la misura di quanto in questi mesi la situazione sia degenerata. Perché Forza Italia e An sono rimasti due separati in casa senza mai davvero amalgamarsi, ma - fanno notare a Palazzo Grazioli - anche per i continui distinguo del presidente della Camera. Già, perché forse ieri per la prima volta da un anno Berlusconi e Fini si sono trovati paradossalmente d’accordo sulla necessità di rimettere mano al Pdl. Il punto è che al di là delle parole, i due continuano ad avere idee diametralmente opposte su quale possa essere la cura. Il premier - e lo dimostra la recente iniziativa dei Protettori del voto insieme alla Brambilla - immaginare un partito leggero e snello, Fini pensa a un soggetto più strutturato. Insomma, ancora una volta non sono d’accordo. Tanto che dopo l’ultima uscita dell’ex leader di An sullo Stato di polizia, in privato il Cavaliere era stato eloquente: «Ma ci sarà una cosa su cui la pensa come me? Dico una sola cosa...». Domanda che si fanno in molti se due giorni fa Fini è stato preso di mira pure dalla vignetta di Giannelli sulla prima pagina del Corriere.
E al di là delle lotte tra correnti e degli scontri tra bande e potentati locali, sono in molti a pensare che sia questo il vero punto di caduta del Pdl. Certo, il partito va rivisto dalle fondamenta e Berlusconi parla sempre più spesso della necessità di «dare uno scossone» e «azzerare» tutto perché - confidava in privato - «non c’è un dirigente che non pensi al suo cadreghino piuttosto che all’interesse comune». Il punto è capire quando e in che modo. Ma, spiegava ieri ai suoi, «non si può continuare così». Perché se Fini è intenzionato a seguire le tracce di Follini - è il ragionamento del premier - allora è meglio far saltare il banco.
E certo non depongono a favore dell’ex leader di An i pranzi e gli incontri con Casini, Rutelli, Pisanu, D’Alema, varie ed eventuali. Che non solo al premier hanno dato l’impressione che si sia rimessa in moto la macchina di chi lavora al dopo Cavaliere.
Berlusconi, però, è deciso a non farsi cuocere a fuoco lento, a costo di presentarsi davanti agli italiani per dire che c’è chi non lo vuole far governare come accadde nel ’94 e chiedendo su questo una scelta di campo netta.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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