E gli ex Paesi dell'est denunciano: ci rifilate cibo di seconda scelta

Si racconta che Boris Eltsin capì che per l'Urss non c'era più storia durante un viaggio in Texas nel 1989, quando verificò di persona l'abisso esistente tra i due sistemi economici. C'è una celebre foto che lo ritrae con gli occhi sbarrati davanti allo scaffale di un supermercato. In quegli anni a Mosca, ma anche a Sofia, Bucarest o Varsavia le banane si vedevano solo a Natale, i pochi cibi occidentali erano lusso da nomeklatura, si acquistavano in negozi speciali e in valuta straniera. Se visitasse oggi i supermercati dell'Europa ex comunista Eltsin rimarrebbe altrettanto sbalordito. Eppure nelle capitali orientali dell'Unione europea si urla allo scandalo e sta montando la protesta del carrello. Il premier bulgaro Boyko Borisov parla di «apartheid alimentare» nei confronti dei paesi ex comunisti: «Le multinazionali ritengono di poterci rifilare schifezze e surrogati perché veniamo dalla miseria». «Siamo la spazzatura d'Europa», dice il ministro dell'Agricoltura ceco Marian Jurecka. La questione è che si è provato scientificamente quel che da anni molti cittadini dell'est vanno denunciando: molti prodotti dei colossi mondiali del settore alimentare e delle bevande non sono gli stessi distribuiti nell'Europa occidentale.

L'Agenzia per la sicurezza alimentare di Sofia e il ministero dell'Economia hanno appena diffuso i dati di un'analisi comparativa su 31 prodotti della stessa marca distribuiti in Bulgaria e in Germania e ben 16 risultano contenere ingredienti diversi, di una qualità inferiore rispetto a quelli commercializzati nel land tedeschi. «Un insulto, è inaccettabile», ha tuonato il burbero premier. Il packaging è lo stesso, il contenuto sembra adattato a consumatori ritenuti meno esigenti, ancora reduci dell'economia collettivistica. Parliamo di burro, puree per neonati, formaggi, salsicce, note creme al cacao e bevande global, che da quel che emerge sono prodotti ad hoc per i mercati ex comunisti. Dolcificanti al posto di zucchero, pasta di pollo al posto di maiale negli hot-dog, additivi presenti nel dessert a Sofia e non nella stessa confezione a Vienna, sciroppo di glucosio ritrovato nelle lattine bulgare e non in quelle della stessa marca a Berlino. Identiche analisi sono state fatte nella Repubblica ceca, in Ungheria, Romania e anche in Slovenia.

Le multinazionali si difendono dicendo che i prodotti si adattano ai gusti dei diversi mercati (accade ad esempio anche tra Italia e Svezia, spiegano), ma chissà perché all'est le materie prime utilizzate risultano di standard più bassi nonostante i prezzi siano spesso addirittura più alti, a fronte tra l'altro di stipendi inferiori anche del 15 per cento rispetto ai paesi dell'ovest. La commissaria Ue per i diritti del consumatore Vera Jourova ha aperto un'inchiesta e se le accuse dei governi orientali saranno provate, potrebbero aprirsi molte class action ai danni dei grandi marchi. Quel retrogusto da cibo socialista continua a perseguitare i Paesi usciti dal blocco sovietico, così migliaia di cittadini slovacchi, cechi, bulgari continuano ad attraversare il confine e acquistare prodotti che potrebbero trovare sotto casa, ma che non hanno la stessa qualità (e spesso il medesimo prezzo).

Non sembra un caso che colossi della grande distribuzione occidentali, come la tedesca Müller, aprano tanti supermercati oltre l'ex cortina di ferro. Saremo anche regolati in un unico mercato, ma non tutti gli scaffali garantiscono il vero, autentico, sapore d'Europa.

MGM

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