Parlano la stessa lingua, hanno la stessa faccia da bambino, giocano a pallone mentre gli altri praticano il calcio. Kakà. Rooney e Cristiano, fiori selvaggi sbocciati nella serra del football moderno, computerizzato, muscolare, tatticista. Il teatro dei sogni ha visto ieri sera gli attori che invitano a sognare sempre. Delizioso e perfido Kakà, pittore classico di gesti essenziali e decisivi, genialoide e tossico Cristiano Ronaldo, artista di disegni astratti e magici, marine eroico Rooney, dal collo taurino e gli occhi di chi ha fame sempre, da sempre. Manchester atto primo di una grande commedia, il ragazzo di Brasilia contro il fenomeno di Madeira con il piccolo, tozzo Wayne a cercare gloria e spazio, mentre intorno a loro il resto della comitiva era formato da puffi, minatori e portaborse, servitori e postini, incantati come il popolo dell’Old Trafford e il resto della folla calcistica davanti ai televisori, per lo spettacolo unico e irripetibile. Il gol di testa di Cristiano, con la complicità balorda del solito Dida, aveva fatto illudere i diavoli rossi di un’altra marcia trionfale, la presa di Milano dopo la caduta dell’impero Romano. Ma qui lo sfidante brasilero ha capito che era arrivato il suo momento, l’ora del campeon, come si deve e si usa tra i grandi e non tra gli eroi di carta di un certo povero football nostrano. Prima un diagonale velenoso, come una stilettata al fegato, coricando, come un brocco, Edwin Van der Sar e la sua faccia comica, alzando poi le braccia al cielo e ringraziando Iddio, con una preghiera sofferta e gioiosa assieme. Poi addirittura, in occasione del secondo gol, magnifico, intontendo lo scozzese Fletcher quindi provocando il goffo scontro tra colleghi, Heinze ed Evra, per concludere ancora sotto la pancia di quell’olandese che è stato eletto, pensate un po’, miglior portiere della premierleague. Wayne è come John, ha deciso che così le cose non poteva e non dovevano proseguire. Ha riagguantato il Milan e gli ha infilato la baionetta nel fianco alla fine, sotto la pioggia che faceva film epocale.
Kakà suona come uno schiaffo alla presunzione made in England. Cristiano, dopo l’uno due al fegato, ha smesso di fare il fenomeno con le sue gambe lunghe che usa muovere come cesoie che tagliano l’aria e annebbiano la vista di chi gli capita di fronte. E ha capito che le feste di Londra, lunedì sera, i due premi ricevuti a una carriera feroce e precoce, sono stati arrugginiti da quel ragazzo di Brasilia, così normale quando si muove e corre e dribbla e tira da essere proprio per questo formidabile nella sua eleganza mai sfacciata, mai esagerata.
Venticinque anni portati da uomo, nel dire e nel fare, discreto, educato. Questo è Kakà. Ventidue anni indossati con lo stile di un paninaro, gli orecchini brillanti ai due lobi, il gel in dosi industriali sul capello corvino. Questo è Cristiano chiamato Ronaldo perchè suo padre, che se ne è andato un anno fa, era un tifoso di America, cinema e politica, dunque di Ronald, Ronald Reegan bravissimo a tenere la bandiera nei tre ruoli. Ventidue anni vissuti come si vivono oggi, tra discoteche, femmine e cazzotti ma con la voglia di uscire sempre per primo, dalla mischia e dal campo. Questo è Rooney.
Kakà ha lasciato la sua memoria e la sua firma sotto la locandina del teatro che fu di Bobby Charlton e Denis Law, di Matt Busby e di George Best, di Eric Cantona e di David Beckham. L’Inghilterra ha scoperto che oltre la Manica non ci sono soltanto spaghetti e mandolini. C’è un ragazzo di Brasilia che sa trasformare in oro quello che tocca, il pallone tanto per divertirsi.
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