E Ferrante offre il solito tavolo anche a chi vive a Chinatown

Platea dimezzata dal ritardo del candidato che si è perso nelle viuzze

Gianandrea Zagato

Bruno Ferrante non arriva. L’orologio segna le 21.30: sono già trenta minuti di ritardo. I cittadini del quartiere che attendevano il candidato sindaco del centrosinistra cominciano a spazientirsi. Qualcuno se ne va a casa, qualcun altro gira l’angolo a caccia di un bar. Microfono alla mano Pierfrancesco Majorino tenta di fermare l’uditorio, «Bruno Ferrante sta arrivando», «lui è quasi qui», «mi dicono che è qui... anzi è dietro l’angolo».
Già, l’ex prefetto che conosce Milano come le sue tasche si è perso tra le strade di Chinatown. L’autista è finito in via Verga anziché in via Signorelli, ammettono gli organizzatori a denti stretti. Vabbè, capita. E, comunque, c’è Marco Cormio, consigliere ds, che offre la soluzione delle soluzioni: a chi protesta contro l’illegalità e contro il degrado cinese che avanza, lui, propone nientepopodimenoche «un tavolo di lavoro». Sorrisi in sala. «Bisogna sedersi attorno a un tavolo e affrontare la situazione perché i mezzi ordinari del Comune non risolvono i problemi». «Dei tavoli non ne possiamo più» sbotta l’uditorio. Nella sala che ospita la serata pro-Ferrante si libera qualche altra sedia. Majorino gioca il tutto per tutto: sì, il segretario cittadino della Quercia la butta sulla mozione dei sentimenti, «qui i rappresentanti del centrodestra non passano mai... non stringono le mani di chi vive e pretende legalità. Ma, attenzione, l’intransigenza va coniugata col rispetto delle culture diverse».
Richiamo alla convivenza che fa scattare in piedi un’inquilina del civico 8 di via Sarpi: «Siamo sessantadue condomini “prigionieri” di chi, ogni ora del giorno, si fa i fatti i suoi. Quelli là sanno che siamo troppo buoni, perbene e se ne approfittano. Ue’, nel cortile di casa mia c’è sempre una scia di vomito. Ma di che convivenza parlate?». Domanda che non avrà risposta: l’ex prefetto è arrivato. L’orologio segna quaranta minuti dopo le ventuno. Ascolta in silenzio le proteste. Apprende che quelli del comitato «ViviSarpi» non si schierano, che lui non avrà i loro voti pure se, ricordano, «ha supplito alle carenze delle Istituzioni con un tavolo prefettizio». Tavolo dove «due anni fa, insieme a lei, signor prefetto, avevamo presentato un progetto per la delocalizzazione dei negozi cinesi». Ferrante muove la testa, se lo ricorda bene quel tavolo, anzi «quei tavoli dove si pensava di risolvere i problemi dell’ingrosso che soffoca il quartiere».
Tavoli, evidentemente, inutili. Ma Ferrante questo ha e questo ha offerto anche ieri sera. Tavoli di confronto, di dialogo perché legalità e solidarietà vanno a braccetto, dice. Idea che però non tira più.

Così, da stamani, ogni balcone di Chinatown espone una bandiera arancione: vessillo «contro l’illegalità» che per Ferrante significa però un voto in meno. E questo è solo l’inizio. Stasera i ds replicano a Quarto Oggiaro. Ferrante però se ne sta a casa.

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