Cultura e Spettacoli

E il filosofo Fontenelle smascherò gli antichi oracoli falsi e bugiardi

Precursore dell’Età dei Lumi e in qualche modo “padre nobile” di molti giovani philosophes, Bernard Le Bovier de Fontenelle (Rouen, 1657-Parigi, 1757) fu tra i primi - nello sforzo di dissipare la superstizione e l’oscurantismo della Chiesa e delle altre dottrine istituzionalizzate - a proporre un’interpretazione in chiave razionale e psicologica dell’origine delle religioni. E lo fece, in particolare, in un’opera arguta e curiosa, pensata apparentemente per intrattenere dame e gentiluomini parigini (e scritta «con stile semplicemente conversevole») ma in realtà impregnata di una vis polemica anticlericale che poco aveva dell’estemporaneo: è la Histoire des oracles pubblicata in Francia nel 1687 e che oggi torna in una nuova edizione (Storia degli oracoli, Medusa, pagg. 160, euro 16; a cura di Riccardo Campi).
Nipote del grande tragediografo Corneille, autore di pastorali, liriche, tragedie, melodrammi, per quasi mezzo secolo presidente dell’«Academie française», Fontenelle - che morì centenario - deve però la fama agli scritti scientifici e umanistici, tra i quali la Digressione sugli antichi e sui moderni con cui nel 1688 prese posizione nella nota querelle parteggiando senza esitazioni per i modernes - e appunto la Storia degli oracoli. È un libello, quest’ultimo, che prende le mosse da un’analoga dissertazione apparsa qualche anno prima (il De Oraculis Ethnicorum dell’anabattista olandese Antoine Van Dale) e che ricostruendo usi, riti, cerimonie del mondo greco e latino spazza via antichi pregiudizi duri a morire: che gli oracoli, cioè, siano opera di demoni e genii maligni, e che siano scomparsi con la venuta del cristianesimo. Gli oracoli, spiega Fontenelle, non hanno nessun carattere soprannaturale, sono solo “creazioni” di sacerdoti impostori soliti a ingannare il popolo. Non a caso, nota il polemista francese, la regione che nell’antichità ospitava più oracoli era la Beozia, non solo perché ricca di caverne (perfette per le esalazioni “divine” e per nascondere trucchi e congegni) ma soprattutto perché gli abitanti avevano la reputazione di essere le persone più stupide del mondo...
Alternando aneddoti e dotte citazioni, curiosità e disquisizioni (para)teologiche, Fontenelle sfrutta il tema della falsità degli oracoli pagani per consegnare ai suoi contemporanei - ma anche ai posteri, sospettiamo - un’apologia della ragione contro gli inganni della superstizione. E per far questo, l’erudito libellista mette in atto un’astuta strategia destinata a far scuola: tacciando d’impostura sacerdoti pagani, profetesse invasate e oracoli molto poco divini, Fontenelle in realtà intende smascherare i ministri di ben altro culto che con nuove cerimonie, ma in parte simili alle antiche, continuano ad aggirare i loro fedeli (e infatti si attirerà le ire dei gesuiti). Come nota Riccardo Campi nell’introduzione, «tra “oracoli” (pagani) e “miracoli” (cristiani) ci doveva essere, per Fontenelle, qualcosa più di una rima perfetta».

Una lezione particolarmente apprezzata da Voltaire e soci che, da lì a poco, affileranno le armi della Ragione e dei suoi lumi contro le tenebre del pregiudizio.

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