E' un giorno di lavoro, ma il magistrato fa festa

È venerdì, giornata feriale, e i magistrati di Milano dove sono? Tutti in vacanza (meno uno). Deserti i corridoi, le aule sbarrate. E gli assenti sono pure giustificati...

E' un giorno di lavoro,  ma il magistrato fa festa

Den-den-den! «Pota! El indoe ol martel?», dov’è il martello? Meno male che ci sono loro, i muratori bergamaschi, col loro picchiare sulle impalcature, a ricordare a tutti che un venerdì 30 dicembre è - per il calendario e per la legge - un giorno lavorativo a tutti gli effetti. Perché altrimenti questo immenso labirinto che è il Palazzo di giustizia di Milano sembrerebbe sprofondato nel più deserto dei silenzi, nella più osservata delle festività, manco fossimo a Pasqua o alla Liberazione. Deserti i corridoi. Sbarrate le aule di udienza. L’immane carico di arretrati, per oggi può aspettare. Possono aspettare i divorzi in lista d’attesa, i detenuti in attesa di giudizio, le vittime che aspettano giustizia, le lite condominiali che si trascinano da anni. É un giorno lavorativo, ma non per la giustizia milanese.
Premessa: non è un caso di assenteismo di massa. Gli assenti sono tutti assenti giustificati, e stanno legittimamente usufruendo delle ferie loro spettanti. Ma ad aggirarsi in questo vuoto surreale viene inevitabile chiedersi se un servizio pubblico può abbassare la saracinesca così compattamente, come se chiudessero le poste o gli ospedali, cessando di erogare le proprie prestazioni. E fa capolino la sensazione che fattori umanissimi ma non sanciti in Costituzione - i figli a casa, lo skipass da ammortizzare - abbiano per un giorno prevalso sulla missione da compiere.
Il nuovo presidente della Corte d’appello, Giovanni Canzio, ci aveva provato all’inizio di dicembre: non siamo una scuola elementare - aveva spiegato ai colleghi - che sotto le feste può chiudere per quindici giorni filati, cerchiamo di tenere qualche udienza anche tra Natale e Capodanno, magari non smaltiremo una percentuale rilevante di arretrati ma almeno daremo un segnale di buona volontà. Si sono fatte riunioni ed assemblee. Si sono manifestati intenti, segnalate difficoltà, e si è tornati a lamentarsi come al solito della mancanza di risorse. Risultato: la maggior parte dei giudici ha smobilitato all’Antivigilia, qualcuno riapparirà lunedì prossimo, qualcuno tirerà in surplace fino alla Befana. Martedì 27 si sono tenute un po’ di udienze. Mercoledì 28 un altro po’. Poi si sono progressivamente tirati i remi in barca e si sono chiuse le aule. Si sono fatti i bagagli. Così si è arrivati a ieri mattina, al grande vuoto dove risuonano solo i colpi di martello degli operai edili.
Ed eccolo: questo ziggurat di marmo nel cuore di Milano, che nei giorni feriali pulsa di drammi umani e di segretarie trafelate, ora - alle dieci del mattino del giorno lavorativo 30 dicembre 2011 - appare silente e rarefatto. Per cogliere la giustizia nel suo operare bisogna scendere al piano terreno, dove si processano per direttissima gli arrestati delle ore precedenti: tre africani in gabbia nell’aula 3, sei africani nell’aula 2, due africani nell’aula 1. Fine. Al primo piano le aule della Corte d’appello sono sbarrate. Tutte. Chiuse e vuote le grandi aule della Corte d’assise. Idem al terzo piano, dove si affacciano le otto sezioni penali, e dove nei giorni «normali» è un viavai di detenuti in ceppi e di avvocati: su otto sezioni, nemmeno una tiene udienza. Un solo giudice, e il nome va celebrato come quello di un giapponese di Iwo Jima, Giuseppe Cernuto, celebra regolarmente processi.
Sesto piano, corridoio della nona sezione civile, specializzata per diritto di famiglia: qui di solito è un pigia pigia di coppie in disfacimento, e ci si accapiglia per gli alimenti e gli affidamenti dei figli. La lista d’attesa è interminabile, l’arretrato è tale che per una separazione giudiziaria bisogna attendere oltre due anni. Ma ieri non si fa udienza perché i giudici sono tutti in vacanza. Chiuse persino alcune cancellerie, senza nemmeno uno straccio di avviso sull’uscio. Unico bagliore di attività, nel corridoio parallelo a quello dei divorzi, la settima sezione. Tutto il resto è silenzio.
Al quarto piano, la Procura della Repubblica. Una decina di pm presenti, su 75. Oggi il capo, Edmondo Bruti Liberati, sarà al suo posto. I servizi essenziali sono coperti, e se - Dio non voglia - qualche milanese verrà ammazzato sotto Capodanno, un pubblico ministero se ne occuperà. Ma anche qui fa impressione la teoria interminabile di porte chiuse. Vecchio alibi: i pubblici ministeri lavorano anche quando sono a casa, e tra un pannolino da cambiare e una direttissima dello Spinale trovano il tempo per preparare le udienze che verranno. Sarà così, probabilmente è così. Ma se un cittadino qualunque, uno per il quale venerdì 30 è giorno pienamente feriale, venisse a farsi un giro da queste parti, chissà cosa penserebbe.
L’arretrato è mostruoso.

Quando Canzio è arrivato, tre mesi fa, si è accorto che qualcosa nel meccanismo si era inceppato, e i fascicoli avevano iniziato ad ammonticchiarsi verso i soffitti. La massa dei processi che incombono sulla corte d’appello penale è tale da essere già certi che molti verranno inghiottiti dalla prescrizione. Ma ieri era festa. Almeno qui.

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