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E i kamikaze ritornano a colpire Cinque israeliani uccisi a Hadera

Condanna di Abu Mazen che ha invitato le fazioni al rispetto della tregua

Carlo Sirtori

Mancavano pochi minuti alle quattro del pomeriggio quando Hassan Abu Zeid, ventenne palestinese rilasciato un mese fa da una prigione israeliana, è arrivato davanti all’ingresso del mercato all’aperto di Hadera, cittadina costiera tra Tel Aviv e Haifa. E tra il viavai di gente di fronte alla bancarella dei felafel ha azionato la cintura esplosiva e si è fatto saltare in aria. Oltre al kamikaze, quattro persone sono morte sul colpo e una quinta è spirata poco dopo in ospedale; i feriti sono almeno trenta, alcuni dei quali gravi.
È il primo attacco suicida sul suolo israeliano da quando, lo scorso settembre, è stato completato lo storico ritiro da Gaza da parte dello Stato ebraico. Non è la prima volta che Hadera viene colpita dal terrorismo palestinese. A 20 chilometri da Tulkarem, roccaforte cisgiordana dei gruppi armati estremisti, la cittadina israeliana era già stata oggetto di attacchi nel 2002 e nel 2003. E nella rivendicazione arrivata puntuale dopo l’attentato di ieri, si fa riferimento proprio a Tulkarem: la Jihad islamica - fazione integralista responsabile dei sanguinosi attacchi kamikaze di Netanya, lo scorso luglio, e di Tel Aviv, lo scorso febbraio - ha dichiarato in un comunicato che la strage di ieri rappresenta una «prima risposta» all’uccisione del suo leader Luay Sa’adi da parte dell’esercito israeliano, avvenuta domenica notte scorsa nella città cisgiordana.
Questo attacco, oltre che una vendetta nei confronti del nemico israeliano, è anche una sfida aperta all’autorità del presidente dell’Anp Mahmoud Abbas (Abu Mazen). In serata, il leader palestinese ha condannato l’attentato davanti al Parlamento di Ramallah, ricordando la tregua concordata lo scorso marzo da tutte le fazioni palestinesi con Israele. Tregua che, da allora, soltanto i terroristi della Jihad islamica non hanno rispettato. Il timore condiviso dai dirigenti dell’Anp, come ha affermato il capo-negoziatore palestinese Saeb Erekat, è che «la violenza chiami altra violenza» anche se, per il momento, Israele non ha annunciato rappresaglie. E che, in fondo alla china, prenda corpo una terza intifada, che secondo la strategia dei terroristi palestinesi dovrebbe costringere lo Stato ebraico ad abbandonare le colonie in Cisgiordania.
Come detto, Israele si è accontentato per ora di una risposta di tipo diplomatico. Il ministro per le Comunicazioni Dalia Itzik ha immediatamente annullato l’incontro di lavoro con l’Anp, che doveva tenersi ieri sera. «Ci attendiamo - ha commentato la Itzik - che l’Autorità nazionale palestinese cominci ad agire contro il terrore».

Molto forti sono state poi le parole del portavoce del ministero degli Esteri israeliano Mark Regev, che ha collegato l’attentato di Hadera con le dichiarazioni del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad e del leader di Hamas, Mahmoud Zahar, che hanno entrambi auspicato l’annientamento puro e semplice dello Stato di Israele: «Quello che rende queste persone pericolose è che il loro linguaggio violento viene regolarmente trasformato in azioni violente».

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