E i suoi fan si mettono in ferie per seguire il tour

Preso d’assalto l’Apollo Hammersmith di Londra. Un pubblico entusiasta ha ballato e cantato sotto il palco i classici del chitarrista come «Proud Mary» e «Who’ll Stop the Rain»

da Londra

John Fogerty ha centinaia di migliaia di fan che lo amano come un guru. Al vernissage del suo tour europeo una folla di fedelissimi che hanno preso le ferie per seguire giorno per giorno le tappe dei suoi show ha preso d’assalto l'Apollo Hammersmith di Londra. Non proprio teen-ager: ma entusiasti che alle prime note di Down on the Corner e Keep on Chooglin' si accalcano sotto il palco ballando, cantando e agitando bandiere.
Al momento dei bis, l'arcinota Proud Mary e la durissima Rockin all over the World le mura del teatro tremano. È la breve cronaca del grande ritorno del chitarrista che tra il '69 e il '70 ha strapazzato le hit parade mondiali, conquistando in un sol colpo un ruolo di prestigio nell'Empireo del rock e contemporaneamente il disprezzo di una certa intellighenzia hippy. «I Creedence sono dei provocatori che fanno musica da supermarket - tuonò Jerry Rubin - noi siamo il futuro». A distanza di 40 anni gli hippy sono finiti nel dimenticatoio, Fogerty è in forma smagliante, con quella voce esplosiva ed autoritaria, con quella chitarra che infila magici riff uno dietro l'altro. E vai a tutto ritmo con Green River, Fortunate Son, Bad Moon Rising, l'inno generazionale Who'll Stop the Rain (che il Boss esegue spesso dal vivo), la giurassica Porterville per dipingere con energiche pennellate una serie di quadri senza età e senza tempo. Una nuova magia di Fogerty; cucire il passato al presente attraverso il rockabilly del 2000. Lui è scatenato, domina il palco con consumata freddezza ma al tempo stesso con emozionato abbandono. Non c'è l'orgiastica compattezza dei vecchi compagni Doug Clifford e Stu Cook alla batteria e al basso, né la metronomica chitarra ritmica del fratello Tom, ma una band tonante e agguerrita (spicca Kenny Aronoff dietro i tamburi) che aiuta Fogerty ad offrire ora letture libere e vigorose (il dolente incedere country di Looking out my back door) ora più aderenti al passato ma attraversate da lampi hard e inasprimenti ruvidi come l'ipnotica e lunghissima Bootelg.
Fogerty dà tutto e di più e mette in gioco l'intera varietà dei suoi registri emotivi, giocando soprattutto sui tempi veloci, alimentando la tensione accordo dopo accordo, per scalare sapientemente ogni tanto con ballate come Have You Ever Seen the Rain?, avvicinarsi al country in Cotton Field, dare il colpo del ko con la seducente I heard it through the grapevine tributo a Marvin Gaye. Vogliamo essere banali? Un trionfo. Il trionfo di un uomo fuori dal coro, che ai tempi delle sperimentazioni musicali di San Francisco decide ante litteram di risalire alle fonti del rock and roll contro tutto e tutti.

Soprattutto contro l'America utopica ed intellettuale degli anni 60'-70'. Si dice che abbia un pessimo carattere, ma sul palco gli si perdona tutto quando si dedica con tanta passione alla ruvida arte del rock and roll.

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