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E' inevitabile: andremo in pensione più tardi

La riforma è un obbligo: la previdenza assorbe gran parte della spesa. E ormai certi lussi sono insostenibili

E' inevitabile: andremo  
in pensione più tardi

Le manovre sulle pensioni sono un po' co­me le visite dal dentista: per lo più doloro­se, quasi sempre inevitabili. Lo capisco: chi aveva fatto i suoi calcoli con il riscatto della laurea e del militare e già sognava il gesto dell' ombrello ai colleghi e successiva canna da pesca da esibire in riva al fiume, beh, è evidente che adesso è furibondo e gli girano i contributi (e anche gli attribu­ti) come l'elica di un motoscafo. Però, diciamocelo con franchezza, mettere mano alla previdenza quan­do si deve tirar la cinghia è quasi obbligatorio per al­meno due motivi: a) la previdenza è il capitolo che as­sorbe la maggior parte della spesa pubblica; b) la pre­videnza conserva ancora qualche cascame di quei tempi in cui si pensava che la spesa pubblica fosse il Bengodi.

Lussi che, evidentemente, oggi non possia­mo più permetterci. La Cgil ha definito l'intervento sulle pensioni un «golpe». I soliti esagerati. Del resto che nel sindacato rosso siano abituati a scambiare lucciole per lanter­ne si sa: in fondo sono gli stessi quando organizzano uno sciopero sostengono di difendere davvero i lavo­­ratori, pensate un po'... In realtà, Susanna tutta pan­na permettendo, se un difetto può avere questo provvedimento sulla previdenza è quello di essere, ancora una volta, parziale, fra l'altro il terzo in dodici mesi (l'anno scorso furono introdotte le finestre mobili, nel luglio scorso sono state inasprite).

Altro che colpo di mano, al massimo è un colpo di tacco. Un passettino. Piccolo piccolo, un po' sghembo, a rischio d'inciampo. Ma, per lo meno, nella direzione giusta. Diciamolochiaro: innessunPaese al mondo esistono quattro modi per andare in pensione (vecchiaia, anzianità, lavori usuranti e con gli scalini). E, soprattutto, nessun Paese al mondo che voglia restare economicamentesanopuòpermettersi di mandare a riposo le persone 58.3 anni, che invece è la media di chi ha preso il vitalizio per anzianità nel 2010. In questa situazione «le pensioni non si toccano» è solo uno slogan, bello da dire alle feste della Padania o nei cortei della Cgil. Ma poi tutti lo sanno che per far quadrare i conti con il nostro presente e con il nostro futuro le pensioni invece bisogna toccarle, eccome.

Se non altro per spostarle da quel 58,3 che è una quota troppo bassa per volare sicuri. Una quota a rischio crash. La storia è nota. Quando le pensioni per tutti furono introdotte la prima volta, alla fine del XIX secolo dal cancelliere Bismarck, l'aspettativa della vita era pari a 45 anni. In pratica solo l'1 per cento della popolazione aveva la possibilità di arrivare ai 70 previsti per godersela. Ancora nel 1960 in Europa si viveva in media una decina d'anni in meno di adesso. Le pensioni d'anzianità furono introdotte in Italia proprio in quel periodo. Precisamente nel 1965.

Già allora ci furono polemiche. «Citroveremodavantiunenorme passivo», scrisse il Corriere . Aldo Moro fece una drammatica relazione al Parlamento: «Solo nell'ordinamento italiano esiste la possibilità di conseguire la pensione indipendentemente dall'età ». Nel 1968 le pensioni d'anzianità, infatti, furono abolite. Ma nel 1969 furono di nuovo ripristinate. Prevalse la tentazione del Bengodi, supportata dalla follesensazionechesipotessescaricare ogni problema sul futuro, come se i soldi non finissero mai. Invece no. I soldi finiscono, i soldi sono finiti.

E dunque bisogna provvedere. Nonsosetecnicamentel'intervento su laurea e servizio militaresiailpiùefficace, nonsosesupereràgli scogli degli esami di costituzionalità, non so se si riuscirà a trovare il modo per ripagare come è sacrosanto chi quegli anni se li è riscattati a suon di dobloni, ma so per certo che questo provvedimento ha abbattutounmuro, quelloconsuscritto «le pensioni non si toccano». Sarebbe stata meglio una riforma più organica? Sicuramente sì. Sarebbe stato meglio far entrare questo discorso dalla porta principale anziché da quella di servizio? Sicuramente sì. Ma la Lega si era spinta troppo avanti, Bossi aveva usato parole troppo definitive: la scorciatoia degli anni da riscattare era l'unica strada politicamente percorribile per raggiungere lo scopo.

Che è appunto quello di riportare il tema della previdenza al centro della manovra. Pratica dolorosa, come si diceva, eppure inevitabile. A questo punto resta un solo dubbio. Il dubbio è questo: poiché è stato ristabilito il principio de «le pensioni si toccano», perché non si è pensato contemporaneamente di toccare anche le pensioni dei parlamentari? Non sarebbe stato solo un beau geste: da soli i vitalizi di onorevoli e senatori costano al contribuente 204 milioni di euro l'anno. E dunque, con l'aggiunta dei vitalizi dei consiglieri regionali di tutta Italia, si sarebbe raggiunta facilmente una somma pari quasi al gettito che darà, almenoperilprimoanno, l'intera stretta sulle pensioni degli italiani. Soldi veri, insomma.

E, inoltre, pure un bel segnale sul fronte dei costi della politica: il dimezzamento dei parlamentari e la cancellazione delle province, infatti, sono ottime misure, ma di incerta e lontana applicazione. Infatti devono passare per un disegno di legge costituzionale. L'abolizione dei vitalizi, invece, no.

L'abolizione dei vitalizi dei parlamentari potrebbe essere immediatamente esecutiva. Ops, scusate: non sarà proprio per quello che è stata esclusa dalla manovra?

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