E IO MI SCHIERO

Qualcuno sa dov’è finito Schumi? Io posso solo dire com’è finito. O come sta finendo. Male, malissimo. In Cina decimo, sorpassato persino dall’ex gregario Massa in giornata critica. Nella vita tutto è relativo: per un esordiente, il decimo posto è un mezzo successo che non si butta. Per un mito dei motori, è un piazzamento malinconico e patetico, come un’inesorabile deriva verso l’interminabile autunno.
Purtroppo non è un segnale. Poteva essere solo un segnale, persino una disgraziata coincidenza, il primo gran premio. Il disagio, l’emozione, l’ambientamento: tutti fattori serissimi e rispettabili. Stupido sparare sentenze dopo il primo gran premio. E anche dopo il secondo, e anche dopo il terzo. Bisognava dargli un po’ di tempo, per capire davvero. Ecco: adesso il tempo l’ha avuto, tutti gliel’hanno concesso, e qualcosa di attendibile si può legittimamente dire. La constatazione più amara è dettata dall’evidenza: più passa il tempo, più chilometri Schumi percorre, più si ambienta, e più sembra allargarsi l’abisso che lo separa dalla Formula 1. In prova e in gara, Schumi gira sempre più ai margini. Come figura, ricorda molto i poveri piloti Minardi del bel tempo che fu.
I suoi ex tifosi umanamente si chiedono: ma davvero è questo che voleva? Quando annunciò il clamoroso ritorno in pista, Schumi calcò molto la mano su un elemento decisivo. Non il denaro, non il titolo mondiale. Adrenalina, parlò con gli occhi brillanti di adrenalina. Spiegò che gli mancava troppo l’adrenalina della Formula 1. Che tornava per sorseggiarne altre vitali bicchierate.
Forse, il tragico errore di calcolo sta tutto qui: Schumi parlava dell’adrenalina che conosce lui e che conoscono quelli come lui, l’adrenalina riserva imperiale dei fuoriclasse imbattibili. È un’adrenalina pregiata, rarissima, esclusiva: noi umani non avremo mai il piacere di gustarla, nemmeno un cucchiaino da caffè. A noi, come ai piloti medi di una Formula 1 media, è riservata certamente dell’adrenalina. Ma è un’altra adrenalina. Meno selezionata, più dozzinale, comunemente reperibile sul mercato. La differenza che passa tra questa nostra adrenalina e l’adrenalina assaporata dai palati finissimi dei numeri uno è la stessa che passa tra un buon vino da tavola pescato sugli scaffali dell’ipermercato e le bollicine di uno champagne d’autore.
Il destino che Schumi si è scelto in terza età si configura come un supplizio: tornato per rifarsi la bocca con l’amata adrenalina di un tempo, improvvisamente si trova a degustare l’adrenalina in tetrapack del fondoclassifica. Sempre adrenalina è, ma non si può pensare che la trovi buona e soave come la sua. Può raccontare quello che vuole, come annunciare addirittura quanto sarà lieto di fare il secondo a Rosberg (a Rosberg!!), ma nessuno può per questo considerare riuscita e felice la scelta di rimettersi in macchina. Non dovrebbe neppure pronunciarla, uno Schumacher, quella parola: secondo. Lui, nato primo.
Certo: da qui in poi può pure darsi che si rimetta a vincere. Tutto può succedere. Ma il suo problema resta sempre lo stesso: per quanto riuscirà miracolosamente a vincere, comunque non aggiungerà niente a quello che già aveva ed era. In certi ritorni, non soltanto nel suo, per quanto si riesca ancora a vincere, c’è comunque soltanto da perdere.

Figuriamoci se continua a remare pietosamente tra gente nettamente più veloce e disinvolta, di un mondo successivo, comunque avanti e diverso dal pianeta che aveva lasciato da sovrano. Che cosa triste. Quando lasciò, eravamo tutti convinti che niente e nessuno sarebbe riuscito a distruggere il suo grandioso mito. Non avevamo calcolato lui.

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