E io non firmo l’appello per gli Uighuri cinesi

Caro Granzotto, il sanguinoso attentato nello Xinjiang ha messo in rilievo il pericolo di azioni terroristiche che potrebbero turbare il naturale svolgimento delle Olimpiadi di Pechino. È una visione molto superficiale ed egoistica dei fatti perché la posta in gioco non sono le medaglie olimpiche, ma il destino di venti milioni di Uighuri oppressi e vessati dal governo cinese e che rivendicano la loro indipendenza. Il movimento indipendentista uighuro da anni si batte pacificamente perché venga riconosciuta l’indipendenza dello Xinjiang, ma finora con modesti risultati. Mi parrebbe opportuna una mobilitazione generale che in nome della pace e del rispetto dei diritti umani faccia pressione sul governo cinese affinché lo Xinjiang possa diventare una Repubblica indipendente.


Non conti su di me, caro De Mattei. E se proprio vuole saperla tutta, del problema dell’indipendenza dello Xinjiang m’interessa meno di niente. E poi nutro qualche diffidenza per un movimento come quello uighuro, che si dichiara non violento, che dice di battersi per la pace e poi a mezzo autobomba accoppa, dilaniandole, sedici persone in un colpo solo. Aggiungo che per prendere partito non mi basta sapere che la Cina è comunista (e quindi diamole addosso) o che lo Xinjiang si appella al diritto dell’autodeterminazione dei popoli (e ciò basterebbe a dirlo nel giusto). Prima di schierarmi voglio vederci chiaro, procedimento che presuppone un interesse che, come le ho detto, mi difetta. Sono consapevole che ciò mi pone, agli occhi suoi e dei mobilitazionisti in servizio permanente effettivo, in cattiva luce (i capi d’accusa potrebbero essere la mancanza di sensibilità e di solidarietà se non proprio di umanità), però io non sono capace di avere a cuore qualsivoglia causa e meno che mai tutte le cause - son mille e mille, dagli uighuri alla foca monaca, dal ghiacciaio Perito Moreno a Marina Petrella - imposte all’attenzione della pubblica opinione. Ora, caro De Mattei, mi dica se ha un senso mobilitarsi per gli uighuri e non tirare nemmeno un sospiro sconsolato per le stragi di civili, donne e bambini che da svariati anni e pressoché quotidianamente si compiono in Africa (siamo già a quota un milione e mezzo di morti). Mi dica se è giusto sostenere che nella macelleria africana non dobbiamo metter becco perché trattasi di affari loro - e affari tribali, per di più e dunque ad alta valenza «culturale» - e che invece è doveroso metterlo, il becco, negli affari interni, internissimi della Cina per appoggiare, per sostenere un movimento separatista bombarolo. Se lo ricorda Georg Klotz, l’indipendentista altoatesino detto il Martellatore della Val Passiria? Come avrebbe preso, lei, la mobilitazione della Cina a suo favore in nome, ben inteso, del diritto all’autodeterminazione dei popoli? Una volta, almeno, andavano molto di moda i manifesti/appelli e almeno uno ci metteva la firma. Avendo però perduto col tempo tutto il loro appeal, in mancanza di meglio sono stati sostituiti con la generica chiamata alla mobilitazione. Che a conti fatti si riduce al dire, perché quando si tratta di passare al fare, foss’anche fare una cosina da niente, succede quello che è successo con la proposta di disertare la cerimonia di apertura delle Olimpiadi cinesi.

Vien su una Melandri (quella del «turismo consapevole» nella villa di Briatore a Malindi) a dire che non se ne parla nemmeno perché lo show business d’apertura dei giochi è, ma dimmi tu, ma dove le va a trovare, «il simbolo della fratellanza». Lei capisce, caro De Mattei, che se per mobilitarmi devo anche sottostare alle tabelle di marcia di quella testolina bionda, be’, mi chiamo fuori.

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