E io vi spiego perché Barbarossa è un bel film

di Roberto Cordonati*

Dire che sono sorpreso per le critiche che sta ricevendo il film di Martinelli sarebbe una bugia, non lo è dire che mi ha sorpreso l’unanimità, non dei giudizi critici, ma delle argomentazioni che li sostengono, veri esercizi di arrampicata sugli specchi. A me il film è piaciuto e cercherò in poche righe di spiegarne le ragioni. Il film, come un giornale o un libro, è un prodotto comunicativo e in quanto tale caratterizzabile da struttura e contenuto. Il contenuto riguarda il «cosa», la narrazione, il messaggio che si vuole trasmettere, la trama. La struttura riguarda la tecnica e gli strumenti con cui si vuole narrare il contenuto: come lo voglio trasmettere. Per chiarire: la struttura riguarda il mezzo (film, libro, e-book...), le modalità visive (colore o bianco nero, digitale o analogico, primo piano o piano americano...), le modalità auditive (stereo o dolby, colonna sonora e dialoghi, ritmo, tono e volume...) e le modalità cenestesiche (movimento e staticità, velocità nella sequenza delle scene, sensazioni viscerali e sentimenti trasmessi...).
Tutti questi criteri sono stati congegnati armonicamente e il tempo di proiezione che pure è insolitamente lungo è trascorso in fretta. Prova ne è che mio figlio dodicenne, nonostante l’ora tarda e le sedie non certo comode sistemate al Castello Sforzesco di Milano se ne è rimasto sveglio e pimpante quasi dispiaciuto della fine.
E questo anche se il film narra un fatto storicamente importante: la ribellione del popolo lombardo all’invasore Federico Barbarossa, ma sarebbe riduttivo interpretarlo solo sotto il versante storico, occorre considerare che un evento filmicamente tradotto non deve necessariamente rappresentare la verità degli storici che non è comunque la verità ultima. Le gesta di Alberto da Giussano (Raz Degan) sono narrate in maniera da esaltarne non solo la figura di combattente e resistente ma anche quelle umane, ne fornisce uno spaccato di vita dell’epoca fatto di soprusi e sangue ma anche di amori, difficoltosi e osteggiati ma vissuti fino alle estreme conseguenze. Questo grazie ad un discreto mixaggio tra realtà e fantasia, tra verità e mito con spunti anche esoterici come il ritrovamento di una reliquia grazie alla sensitività di Eleonora (Kasia Smutniak) che le deriva dall’essere stata colpita e sopravvissuta ad un fulmine lasciandole doti di precognizione e perciò considerata folle. Persino del traditore Siniscalco Barozzi (Murray Abraham, una interpretazione superba la sua) si fa emergere l’ambivalenza tra potere e amore in una personalità fredda e tormentata s’insinua l’amore per Tessa (Federica Martinelli, figlia del regista?) che però è promessa ad altro e per fuggirgli si rifugia in convento di clausura. Dove casualmente Barozzi la ritrova e lei per sottrarsi si butta dalle mura della torre. Bellissima la sequenza in cui Barozzi cerca di dissuadere Tessa dal buttarsi nel vuoto dichiarandole il suo disperato amore in cui Murray Abraham si supera con uno spunto interpretativo insuperabile. Ma anche del Barbarossa (un Rutger Hauer all’altezza delle sue migliori performance) se ne dipinge da un lato la ferocia e dall’altro la fragilità di uomo facilmente assoggettato alle volontà della regina (Cécile Cassel). Nel kolossal di Renzo Martinelli tutto questo è narrato con ritmo, con sofisticatezza tecnologica ma mai usata a scopo narcisistico.

Alcune scene sono veramente crude, forse crudeli ma servono a dare senso alla rudezza della vita medievale. Sarò controcorrente ma per me è uno dei migliori film italiani contemporanei.
*Consigliere di amministrazione
di Cinecittà Luce

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