Conosco da molti anni Pierluigi Magnaschi, rimosso dalla direzione dellAnsa per aver dato la notizia-scoop dellazzeramento dei vertici della Guardia di finanza che indagavano su Unipol. È un eccellente direttore, un giornalista equanime. Nel 1999 gli editori italiani, che sono i proprietari dellAgenzia nazionale stampa associata, lorgano dinformazione più importante del Paese, più del Tg1, più del Corriere della Sera, lavevano prescelto proprio per la sua indipendenza. Con Magnaschi ci sentiamo spesso al telefono o ci mandiamo e-mail. Ogni volta il tema è uno solo, sempre lo stesso: questo nostro dannato mestiere. Quando scrivevo per LEuropeo, più di ventanni fa, uscì sul settimanale unintervista (di Massimo Fini, mi pare) con Guglielmo Zucconi, in procinto di lasciare la direzione del Giorno. Ne ricordo ancora il titolo: «Idea: se facessimo giornali per la gente?». Ecco, è questa lidea che ha sempre guidato Magnaschi nella professione: servire i lettori, più che i politici. Il che forse spiega come mai non gli sia mai stata offerta la direzione del Corriere o della Repubblica.
In quellintervista Zucconi descriveva Magnaschi, suo vicedirettore vicario, non soltanto come il vero artefice del successo del Giorno, che era arrivato a vendere oltre 200.000 copie, ma soprattutto come un gran galantuomo. Pochi anni prima, nel libro La paga del deputato, ne aveva tessuto le lodi per il coraggio dimostrato quella volta che rischiarono di morire insieme nella sede della Discussione, il settimanale di cui Magnaschi era direttore responsabile e Zucconi direttore politico. Cerano andati per lavorare in beata solitudine nel pomeriggio di Ognissanti. La redazione fu squassata da un botto tremendo. Una bomba. Si ritrovarono sepolti da scrivanie sbriciolate, vetri frantumati, calcinacci, schegge di metallo. Le Avanguardie proletarie per il comunismo avevano scelto la giornata festiva per un attentato.
Fino allestate scorsa, mai e poi mai Magnaschi mi aveva accennato, nei nostri colloqui quasi quotidiani, a una sua uscita dallAnsa. Sapevo che aveva compiuto i 65 anni (l11 febbraio, ho scoperto in questi giorni), ma sapevo anche che presidente, amministratore delegato e soci dellagenzia gli avevano più volte rinnovato la fiducia, lo coprivano di elogi, se lo tenevano stretto. È noto a tutti come vanno queste cose: un bancario che savvicina alla pensione comincia a segnare i giorni sul calendario con un anno danticipo: 365 allalba, 364, 363... Un tormentone, per i colleghi che rimangono. Ho un altro caro amico, un chirurgo, che mi telefona tutte le mattine alle 7.30, festivi compresi. Ha cominciato lanno scorso a mettermi in guardia: «Ti avviso che a novembre del 2007 vado in pensione. Se devi farti operare, meglio che ti sbrighi», scherza. Insomma, per noi che abbiamo superato i 50 il pensionamento diventa levento degli eventi. Temuto o agognato, a seconda delle inclinazioni. Se ne parla. Tutti i giorni.
Magnaschi niente. Nel 2006 era saldo in sella, anzi io ormai lo consideravo direttore a vita. Le manovre che portano alla sostituzione per limiti di età delluomo cui è affidata la vera Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana siniziano come minimo con sei mesi danticipo sulla scadenza contrattuale dei 65 anni. Ovvio: bisogna mettere daccordo il variegato parterre di azionisti dellAnsa, che vanno dalla Rcs-Corriere della Sera al gruppo LEspresso passando per La Prealpina di Varese e La Sicilia di Catania. Quindi Magnaschi avrebbe dovuto cominciare a parlarmene nellestate del 2005. Due anni fa. Invece largomento non esisteva proprio nei nostri discorsi. Forse cominciava a sentirsi un direttore a vita anche lui. Ma non perché sia un megalomane, tuttaltro. È che lAnsa, dopo un prolungato passivo che stava per costringerla a vendere persino la storica sede a due passi dal Quirinale, guadagnava alla grande da cinque anni consecutivi. Cioè da quando sera insediato lui alla direzione. È stato proprio un flash dellagenzia ad annunciare lultimo utile record di 2,5 milioni di euro, facendo dire allamministratore delegato Mario Rosso che «i risultati ottenuti rispondono positivamente alle nostre aspettative e ci incoraggiano a proseguire sulla strada intrapresa».
Figuratevi perciò la mia sorpresa quando, una mattina dello scorso settembre, Magnaschi al telefono esordì: «I miei padroni vogliono mandarmi in pensione». Ma che dici? Quando? «Col 31 dicembre». Così, di brutto? Perché? «Mi sa che ho disturbato il manovratore», fu la sua risposta. Il tono di voce era mesto, per cui mi parve indelicato approfondire. Lamicizia, talvolta, fa velo anche alle più pungenti curiosità professionali. Ma capii che il direttore aveva infastidito lazionista occulto dellAnsa: il governo. Il quale versa ogni anno allagenzia cospicui contributi attraverso la presidenza del Consiglio dei ministri e il ministero degli Esteri e centinaia di migliaia di euro in abbonamenti per dicasteri, dipartimenti, forze dellordine e compagnia cantante. Magnaschi si sbagliava solo sulla data: non era il 31 dicembre. Il 29 novembre lavevano già messo alla porta. Che fretta.
Quando nei giorni scorsi il comandante generale della Guardia di finanza, Roberto Speciale, ha fatto la stessa fine del direttore dellAnsa per essersi opposto alla decapitazione dei vertici delle Fiamme gialle milanesi sollecitata dal viceministro Vincenzo Visco, mi è apparso definitivamente chiaro chi fosse «il manovratore». Ma ho dovuto insistere non poco per convincere Magnaschi, che certo non è affetto da smanie di protagonismo, a raccontare al Giornale i retroscena del suo defenestramento. Non voleva essere scambiato per un vittimista. Alla fine, pur di non deludermi, ha accettato di parlare col nostro Gianluigi Nuzzi.
Questi sono i fatti. Per cui cè da tenersi la pancia a leggere le smentite delluomo che lo ha fatto fuori, il suo ex estimatore Boris Biancheri, un ambasciatore emerito che per lintera sua vita ha obbedito agli ordini dei politici e oggi riscuote tre lauti stipendi come presidente dellAnsa, come presidente della Fieg (Federazione italiana editori giornali) e come presidente dellIspi (Istituto per gli studi di politica internazionale): «La sostituzione di Magnaschi è stata presa unicamente in vista di unesigenza di rinnovamento e ammodernamento dellagenzia». Rinnovamento? Ammodernamento? Biancheri fra cinque mesi farà 77 anni. Undici più di Magnaschi.
Stefano Lorenzetto
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