E il ministro Bonino litiga con Bertinotti

E il ministro Bonino litiga con Bertinotti

Roma - «Penso che per Telecom si sia evitato il peggio, garantendo una presenza italiana che rappresenta la premessa per un discorso più ampio». Il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, ha voluto impartire la propria «benedizione» al passaggio di consegne tra Pirelli e la cordata Telefónica-Mediobanca-Intesa-Benetton.
Ma l’ennesima esternazione dell’ex leader di Rifondazione ha irritato la parte liberal della maggioranza di centrosinistra. La replica del ministro del Commercio con l’estero, Emma Bonino, non si è fatta attendere. «Mi auguro davvero che il presidente della Camera voglia tornare a un rispetto istituzionale che a mio avviso è un dato molto importante», ha ribattuto aggiungendo che «la chiarezza non è stata il forte della vicenda».
La possibilità che il premio di rischio per gli investimenti in Italia aumenti a causa delle ripetute intromissioni della politica è vissuta con preoccupazione. «In Francia si sa che ci si comporta così - ha aggiunto Bonino riferendosi alla telefonata tra il ministro Padoa-Schioppa e il presidente di Generali Bernheim - e un investitore più o meno lo sa. In Italia le professioni, almeno teoriche, sono quelle di non interventismo».
Lo stesso sfogo di Marco Tronchetti Provera secondo il quale per un imprenditore italiano è difficile muoversi «con autonomia» conferma i timori del ministro radicale. Anche per questo motivo la Cdl è tornata all’attacco. «Prodi ha dissotterrato l’ascia di guerra per mettere Telecom sotto controllo, allo scopo di consolidare un sistema di potere che gli fa capo», ha commentato il vicecoordinatore di Forza Italia, Fabrizio Cicchitto. «Prodi e D’Alema pensano di essere i padroni dell’economia e vogliono decidere sulla roba d’altri fino a meditare espropri», ha rilevato Maurizio Gasparri. «È fin troppo evidente che l’italianità rappresentava il pretesto per aggirare il mercato», ha commentato il presidente della Commissione di vigilanza sulla Rai, Mario Landolfi.
Nel 2007 sarà difficilmente riproponibile il modello di Stato nazionalizzatore teorizzato dal centrosinistra di Aldo Moro negli anni ’60. Nell’Unione quella eco non si è assopita se lo stesso Bertinotti ha invocato «una discussione sulle strategie industriali del Paese». Il sostegno a queste tesi non manca. «Telecom non può e non deve essere sganciata dal controllo pubblico», ha ribadito il comunista Pino Sgobio. Il capogruppo di Rifondazione alla Camera, Gennaro Migliore, ha invocato «un’immediata attivazione delle procedure per lo scorporo della rete e il conseguente controllo pubblico».

Persino l’Italia dei Valori ha giudicato positivamente le teorie bertinottiane.
Tronchetti Provera, in fondo, non ha tutti i torti. «Il mondo politico considera Telecom un po’ come un’azienda di Stato». E nei prossimi mesi non si congederà di certo dal tavolo delle trattative.

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