"E Montanelli ci chiese: Trovatemi il significato dell'esistenza"

Nell'estate 1974 Fruttero&Lucentini scrissero per il "Giornale" un romanzo a puntate. Che poco dopo, 50 anni fa, uscì in volume

"E Montanelli ci chiese: Trovatemi il significato dell'esistenza"

Piove come Dio la manda. Traversiamo correndo la via Moscova e cerchiamo un androne in cui ripararci un momento, prima di continuare la nostra marcia verso piazza Cavour. Ma a quest'ora tutti i portoni sono chiusi. Dalla vicina, cinquecentesca chiesa di S. Angelo giungono i rintocchi delle dieci.

Siamo davvero dei grandi inviati speciali? Eccoci già in ritardo e bagnati fradici, nonostante i nostri trench fatti arrivare appositamente da Kansas City. Per un malinteso senso del giornalismo d'azione abbiamo infatti lasciato a casa, a Torino, i nostri ombrelli.

"Scendendo dal rapido a Milano-Centrale, saltiamo in un tassì e via", c'eravamo detti partendo. Ma abbiamo dovuto constatare, una volta di più, che in queste grandi metropoli il salto sul tassì appartiene al passato.

Annotiamo brevemente sui nostri notes questa osservazione dal vivo, e continuiamo per via Turati rasentando i muri. Superiamo via Montebello e lo sbarrato caffè-tabacchi all'angolo con via Carlo Porta, mentre la pioggia raddoppia di violenza. Ma ecco la piazza, finalmente, ecco i duecenteschi Archi di Porta Nuova. Ed ecco anche, davanti a noi, il massiccio e illuminato edificio dove riceveremo, le nostre istruzioni.

"Voi dovete semplicemente trovarlo e portarmelo qui", conclude l'uomo alto e magro, dai penetranti occhi grigi, seduto dall'altra parte della scrivania.

Schiaccia con flemma la sigaretta, si riappoggia allo schienale della sua poltrona, e resta a fissarci con espressione... divertita?... beffarda?...

Ma se crede di averci sorpreso, si sbaglia di grosso. Lo sfrigolio dei nostri trench bagnati ci avverte, è vero, che ci stiamo spegnendo le sigarette sul ginocchio, e i nostri occhi, privi della necessaria tonalità di grigio, non giungono al lampo d'acciaio. Tuttavia è senza un battito di ciglio che accettiamo l'incarico.

"Duecento dollari al giorno più le spese", ci limitiamo a rispondere.

"D'accordo. Quando contate di partire?".

"Non appena avremo deciso dove andare", ribattiamo imperturbabili.

L'uomo approva con un lento cenno del capo.

"Non m'ero sbagliato sul vostro conto. Siete probabilmente i soli a cui potevo affidare un incarico come questo. Mi chiedo soltanto... Scusate, ragazzi: mi piacete proprio perché non fate troppe domande, ma... avete veramente capito che cosa voglio da voi? "

Sorridiamo. Accavalliamo le gambe. È la nostra volta di impressionare quest'uomo.

"Una normale inchiesta giornalistica, ci sembra. Che altro c'è da capire? Tu ci hai chiesto...".

"Sì, ma non abbiamo neanche stabilito dove...".

"Dettagli... Tu ci hai chiesto di cercare il significato dell'esistenza. Esatto?".

"Esatto, ma... ".

"E di portartelo qui in esclusiva. Esatto?".

"Sì, sono convinto che il significato dell'esistenza resta pur sempre un fatto grosso, e che la sua scoperta, oggi come oggi, sarebbe un notevole colpo giornalistico".

"È ovvio" sorridiamo. "Non sganceresti i duecento al giorno più le spese se la posta in gioco non fosse alta".

"Ovvio, " sorride a sua volta la vecchia volpe, in cui il lettore non avrà mancato di riconoscere il direttore di un noto Giornale milanese. "Ma non vorrete dirmi che domattina già saprete dove andare, da che parte cominciare? Io avevo una mezza idea di suggerirvi...".

"Alt", l'interrompiamo alzando una mano. "Se vuoi un lavoro ben fatto, devi darci carta bianca e non cercare di influenzarci. OK?".

Ci alziamo soddisfatti. Il principe del giornalismo italiano ha dovuto incassare senza possibilità di replica l'implicita lavata di capo.

"Ah, e c'è un'altra cosa" aggiungiamo. "Il significato dell'esistenza è roba che scotta, roba che può dar fastidio a molta gente. Ora tu... ".

Montanelli alza tutte e due le mani.

"Ora io" ribatte con fermezza "voglio la verità. Trovatela, e non ci saranno pressioni politiche, oscuri interessi di gruppi o minacce di querela che m'impediranno di pubblicarla".

"Qualunque essa sia?".

"Qualunque essa sia".

Una volta ridiscesi, la pioggia che rimbalza fin dentro l'atrio del palazzo ci ricorda che i virili colloqui tra colleghi, l'altissima coscienza professionale, non sono tutto nella dura vita del giornalista. Avremmo anche dovuto tentare di telefonare per un tassì.

Ma grazie al cielo, ecco un abusivo proprio qui davanti.

"Macchina?" ci chiede.

"Alla stazione" rispondiamo, infilandoci a testa bassa nella grossa berlina.

"Alla stazione ci andiamo dopo", interloquisce uno sconosciuto già seduto all'interno della vettura.

"Prima, c'è qualcuno che vuole vedervi. Avete obiezioni?".

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