E nel suo cd David rispolvera il solito gigantismo

Più grandeur e meno grandezza: «On a island» vola alto in classifica ma i brani non decollano

Castellorizon, s’intitola il primo brano: e già non è difficile riconoscere il pompierismo degli ultimi Pink Floyd, da The final cut al micidiale A momentary lapse of reason. Solo che là c’era un qualche concetto drammaturgico, che sembra latitare in questo On an island, terzo episodio solista di David Gilmour appena uscito e già benedetto dai favori delle classifiche.
Archi trionfanti, chitarra melodiosa e slabbrata, scenografia sonora zeffirelliana, riferimenti folk, jazz, blues, melodie rapinose, sinfonismo di risulta: nulla manca, del repertorio seduttivo degli ultimi Pink Floyd. Che poi dietro tanto fumo si profili qua e là un buon aroma d’arrosto, concediamolo pure. E che l’architettura, per quanto vaniloquente, mantenga una sua solidità, è a sua volta fuor di dubbio. Pur nelle leziosaggini corali di On an island, nel puccinismo inesorabile degli inserti strumentali, nel sentore d’oleografia che spira dovunque, avvolgendo e spesso vanificando le buone intuizioni, e intenzioni.
Sicché, in questo album che più pinkfloydiano non si potrebbe, fatichi a ritrovare i furori onirici, le allusioni subliminali, il fervore affabulatorio, il senso del mistero che il gruppo ci aveva donato ai tempi del suo passato fulgore, quando la grandezza non era stata ancora surrogata dalla grandeur. E che per un attimo ci era parso di ritrovare lo scorso luglio sul palco del Live 8, durante la troppo breve reunion tra la band e un Roger Waters in stato di grazia.
Così ora ci si accontenta dei ricalchi morriconiani di Redsky at night, dei sapori New Orleans di Then I close my eyes, di certi folgoranti guizzi rock-blues acquattati qua e là in una partitura in cui predominano le massicce dosi di melassa di Smile o Pocketful of stone, e nel cui dipanarsi sbucano apporti sicuramente illustri: David Crosby & Graham Nash, intanto, e ancora Robert Wyatt al corno francese, Caroline Dale al violoncello, il Pink Floyd Richard Wright all’Hammond, Georgie Fame alle tastiere e l’ex Roxy Music Phil Manzanera alla produzione.

Con le orchestrazioni del polacco Zbigniew Preisner che colgono perfettamente gli estri barocchi e la vocazione estetizzante di Gilmour, il suo tronfio senso dell’iperbole, la magniloquenza da vecchio retore ma anche la capacità d’attrarre l’attenzione dei compilatori di classifiche.

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