di Tony Damascelli
I ricchi scemi hanno traslocato. Parlano spagnolo, inglese con accento americano, russo, lettone e affinità dellex Unione delle repubbliche socialiste sovietiche. Il calcio italiano sfoglia lalmanacco Panini come se si trattasse dellalbum di fotografie ingiallite, roba di archivio. Si vive di nostalgia: nel giro di poche settimane ci siamo giocati Figo, Maldini e Nedved, per ragioni di anagrafe e non soltanto, poi Kakà, prossimamente si dice di Ibrahimovic. La Spagna è passata da unepoca di zeru tituli a un pieno storico, tra nazionale e club, a Madrid poi sono stati umiliati e offesi dal colpo grosso del Barcellona che ha vinto davvero tutto in una stagione e ha rifilato sei schiaffi in faccia alle merengues addirittura al Bernabeu. Per questo è scattata la vendetta multimilionaria di Perez. E noi? Non siamo ancora personaggi da Victor Hugo, i miserabili vivono altrove però la nostra sedia non è più a capotavola (un posto che pensiamo di occupare anche quando mangiamo da soli!), facciamo i conti con la crisi ma soprattutto con il mercato che ha altri regimi, altre teste, altri giri. Le agevolazioni fiscali di alcuni Paesi, la Spagna fra questi, sono un alibi di comodo: chi è il calciatore più pagato al mondo? Chi è lallenatore con il più alto salario? Forse non si chiamano Ibrahimovic e Mourinho? E Buffon? Del Piero? E Totti? E Kakà? E Mancini Roberto? Quanto hanno speso tra ciofeche e ferri vecchi Inter, Milan e Juventus in questi ultimi anni? Chi ha buttato via euro inutili per Tiago, Almiron, Oliveira, Ronaldinho, Quaresma, Maniche, Suazo, Mancini Adamantino, Van der Meide, Cesar, Pizarro, Solari, Batistuta, Josè Mari, Andrade, Coloccini, Xavi Moreno, Mellberg, Manninger, Kalac? E quando tirano fuori la storia del costo zero perché non ricordano la commissione versata al procuratore interessato e lingaggio che il neotesserato richiede in quanto a «costo zero»?
Il calcio italiano vive una crisi non soltanto economica ma soprattutto strutturale: litiga per un posto da presidente della Lega, ricicla personaggi e interpreti in ruoli politici di margine, esporta le immagini della contestazione a Paolo Maldini, delle botte di Torino-Genoa, dei cori e delle banane a Balotelli, di calciopoli prima e dopo luso. Va da sé che il professionista gioca, incassa ma pensa di emigrare, per andare a fornire la prestazione in siti più «umani», dove il gioco è tale, la pressione meno opprimente, il calore del pubblico è comunque alto (i tifosi spagnoli o quelli inglesi non sono vergini immacolate ma il rapporto tra il grande pubblico e il fenomeno calcio non assume gli stessi risvolti volgari e ossessivi del nostro football). Lepoca doro di Maradona (pagato da Ferlaino, al cambio di oggi, 6 milioni e mezzo di euro!) o di Platini (centotrentamila euro, mai versati dalla Juventus al Saint Etienne!) di Zico e di Rummenigge, di Socrates e di Falcao, di Matthaus e di Leo Junior, di Cerezo e di Careca, è un trapassato remoto che provoca rabbia ma allora eravamo noi i ricchi scemi, gl emiri, i profanatori del tempio e lItalia rappresentava, per i calciatori, lisola del tesoro (e allora il fisco era forse allegro?). Paolo Mantovani, luomo che costruì la grande Sampdoria, in unintervista al Giornale spiegò così i miliardi spesi per la squadra di Vialli, Mancini, Cerezo: «Ho deciso di fare un film su Gesù, vuole che risparmi sulla croce?». Oggi, in Italia, anche i film sulla vita di Cristo vengono girati da registi stranieri ma nel calcio la droga continua a essere messa in circolo: il merchandising farlocco, degli ambulanti, è florido, in alcuni casi appoggiato dagli stessi club che percepiscono una tangente dalle ditte fabbricanti il falso; le trasmissioni radiotelevisive sul football si moltiplicano in ogni dove, intossicando però il prodotto (nessun altro Paese trasmette tutte, ripeto tutte le partite, anche il campionato Primavera, come accade da noi!) ma sono cambiati gli attori, qualcuno pensava di risolvere il problema con lintroduzione dei tornelli, della football card, della spider cam.
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