da Duisburg
Antonio Pelle è uno dei fiori allocchiello della comunità italiana di Duisburg. Appartiene alla generazione degli emigrati giunti in Germania alla fine degli anni Sessanta con le valigie di cartone legate con lo spago. Un gastarbeiter, come un tempo i tedeschi, con una punta di disprezzo, chiamavano i nostri connazionali arrivati in cerca di lavoro. Incominciò ancora ragazzo come lavapiatti, poi cameriere, poi proprietario di un piccolo locale e sempre una grande voglia di lavorare, di sfondare. Oggi Antonio Pelle, 51 anni, è un uomo arrivato. Suo è uno degli alberghi più rinomati della Ruhr, il Landhaus Milser Hotel. Un hotel di successo come, del resto, era il ristorante Da Bruno, uno dei più esclusivi della città tedesca.
Lalbergo di Pelle è famoso anche per aver ospitato la squadra azzurra durante i mondiali di calcio. «Lippi e i suoi soggiornarono nel mio albergo per tutto il campionato: una soddisfazione che mi ha ripagato di tanti sacrifici». Ma da quando è avvenuta la strage di Ferragosto, Pelle, calabrese di San Luca, il paese della faida, si sente «come se il mondo mi fosse caduto addosso». «Per i tedeschi sono improvvisamente diventato un individuo sospetto, uno di cui diffidare, da discriminare». Con rabbia ci butta sotto gli occhi i giornali. «Scrivono che ristoranti e alberghi gestiti da italiani sono tutti legati alla mafia, che esistono per riciclare il denaro sporco della droga, fanno di tutta lerba un fascio. Il mio albergo lho costruito con denaro delle banche tedesche, con prestiti garantiti dal land della Renania-Westfalia e solo Dio sa quanta fatica faccio per pagare le rate dei mutui. Ma tutto questo non conta. Ora per la gente conta solo che io sono un italiano, un calabrese di San Luca, come quelli che laltra sera hanno ucciso sei persone, che trafficano con la droga e fanno altre cose che mi disgustano. Vai a spiegare che ci sono italiani e italiani, calabresi e calabresi».
Lamarezza è grande. «È come se improvvisamente mi fosse stato tolto tutto quello che ho costruito.
«E ora i tedeschi ci considerano come sospetti»
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