E ora leggetevi Moresco, senza più scuse

Quella di Antonio Moresco è una storia editorialmente tormentata, e anche un modello edificante per l’Italia dove di regola la mediocrità è premiata e la genialità seppellita in vita nel silenzio, e che quindi, sulla carta, rischiava di finire male o iniziare post mortem. Ma l’editoria non è un’entità astratta, è fatta da uomini, e talvolta succedono cose straordinarie.
Così accadde, per esempio, che un giorno del 1991, dopo aver pubblicato per Bollati Boringhieri i primi due libri, Clandestinità e La cipolla, Moresco si presentò in Mondadori con un mostruoso manoscritto di 800 cartelle intitolato Gli esordi, dietro invito di Antonio Franchini, all’epoca giovane e appassionato editor, tentato e spaventato dal pubblicare un’opera così difficile per il mercato. Quindi s’indicono riunioni, ci si pensa su, alla fine si demanda a una lettura di Giuseppe Pontiggia. Siccome le disgrazie non vengono mai sole, Moresco incontrò sulla sua strada, o meglio nei corridoi mondadoriani, anche Aldo Busi, il quale si offrì di leggere il libro, ma mica tutto, «solo la prima pagina», generoso Busi, che infatti lo stroncò all’instante, perché la prima pagina era noiosa.
Moresco racconta l’episodio in Lettere a nessuno, un libro infilzato come un punteruolo nel ventre molle della cultura italiana, tra lettere a critici senza risposta, riflessioni letterarie illuminanti e attese lunghissime, tutte segnate: «Piccolo elenco di rifiuti: Mondadori (2 volte). Garzanti (2 volte). Feltrinelli (2 volte). Bompiani (2 volte). Erba Voglio (1 volta). Ar&a (contratto non rispettato). Bertani (2 volte). Savelli (1 volta). Milano (1 volta). Dedalo (3 testi inviati, nessuna risposta). Adelphi (3 testi inviati, nessuna risposta)». Sul boicottaggio preventivo di Busi, Moresco ricorda: «Gli dico che non sono d’accordo che se legge la prima cartella degli Esordi non gli piace di certo. E vorrei aggiungere anche che non è detto che dalla prima cartella si possa capire, come si dà per scontato oggi...». Fatica sprecata. «Busi ribadisce che basta l’incipit per capire, che lui lavora molto sulla prima cartella, che decide tutto, se il lettore andrà avanti o no». In sostanza Busi ragionava come Ken Follett e con lo stesso criterio avrebbe bocciato perfino Proust. Tuttavia, insieme a Busi, anche Pontiggia pose il veto, e pertanto: «Alla fine anche Mondadori ha rifiutato Gli esordi. Dopo la prima, anche la valutazione di Pontiggia è stata un no alla pubblicazione. Evidenti impedimenta alla pubblicazione, c’è scritto, testualmente, sulla sua scheda, in latinorum». Il giovane Franchini fu costretto a arrendersi, ma con onestà ammise: «Siamo coscienti di trovarci di fronte a uno scrittore vero, uno scrittore autentico».
Intanto, da quel giorno, Moresco ha vissuto la scrittura come un prigioniero che scavi un tunnel nel sua cella d’isolamento con un cucchiaino. Per chi lo conosce è una persona timida e mite ma ha una pazienza da predatore, un’intransigenza alimentata dalla feroce consapevolezza della propria forza artistica, dall’essere appunto uno scrittore vero. Per vent’anni pubblicato e abbandonato da un editore dopo l’altro, attaccato da critici come Angelo Guglielmi perché scriveva «libri illeggibili», o da Goffredo Fofi, per il quale doveva limitarsi a scrivere raccontini e finirla lì.
Tra l’altro Gli esordi, per paradosso, fu rifiutato dalla stessa Bollati Boringhieri, editore del suddetto libro in cui Moresco denunciava i suoi rifiuti editoriali, e uscì, non senza travagli, con Feltrinelli, nel 1998. Il miracolo accadde per l’ostinazione di un collaboratore idealista come Tiziano Scarpa, e in Feltrinelli fece in tempo a uscire la prima parte di Canti del caos, abbandonato dopo il primo volume insieme a Scarpa. La seconda fu accolta da Benedetta Centovalli nella collana «Sintonie», ma anche Rizzoli si bloccò e non se la sentì di pubblicare la terza, mentre nel frattempo diventava introvabile la prima, una tragedia.
Solo tre anni fa questo scrittore vero, preso dalla destra per rivoluzionario e dalla sinistra per fascista, rintanato nella sua rivista online Il primo amore, si sentiva sconfitto e meditava di stamparsi tutto da solo e dire addio all’editoria italiana. Ironia della sorte, ma soprattutto della memoria e del risarcimento, è stato salvato proprio da Antonio Franchini, nel frattempo divenuto direttore editoriale della narrativa della Mondadori, a questo punto deciso a pubblicare tutto Moresco. È uscito quindi nel 2009 Canti del caos in un volume unico, una colata lavica di mille pagine costata 15 anni di lavoro, e subito ristampato in tascabile, perché il libro sarà stato illeggibile ma in libreria ha i suoi lettori forti. La notizia è che quest’autunno, sempre per Mondadori, usciranno in una nuova edizione Gli esordi e, in Oscar, La cipolla e Clandestinità (intanto Moresco sarà anche al festival di Mantova, il 9 e il 10 settembre). Morale della favola a lieto fine: dietro le opere c’è la vita con i suoi ostacoli, le sue delusioni, la capacità di non arrendersi mai. L’irriducibile tenacia dello scrittore da una parte, e dall’altra dirigenti editoriali che sanno rischiare.

Alla brutta faccia dei critici italiani destinatari delle lettere a nessuno, e alle facce degli «impedimenta» di Pontiggia e dell’incipit appassionante di Busi, che continuerà a non andare oltre la prima pagina, e peggio per lui. Ora però leggete Moresco, signore mie, non avete più scuse.

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