Ieri mattina, facendo un giro al parco, si sentivano discorsi tipo questo: «Oh, hai visto stamattina?», «Cosa?», «lha distrutto», «davvero?», «sì, era 13-4 già alla fine del terzo round. E poi lha messo pure ko!», «Grande!». Ecco, capita insomma che una domenica improvvisamente Cammarelle e i suoi pugni diventino materia di discussione facendo passare in secondo piano le vicende di Shevchenko e del Milan. In un mondo normale sarebbe assolutamente giustificato, in Italia invece la cosa fa sensazione, perché sfido chiunque a ricordarsi del supermassimo di Cinisello Balsamo tra qualche mese: lo farà forse giusto qualcuno di Sesto San Giovanni, comune limitrofo. Già a Milano non so.
Insomma, questa è la magìa delle Olimpiadi, diventiamo polisportivi di quattro anni in quattro anni, spostando la nostra anima di commissari tecnici verso discipline di cui - ovviamente - sappiamo poco o niente. Alzi la mano ad esempio chi non ha sentito qualche lamentela sullultima pagaiata della Idem: naturalmente ci fossimo stati lì noi... E che dire - ricordate? - dellarco sbilenco di Nespoli?
Da oggi però - anzi, da ieri sera (cera la Supercoppa, no?) - tutto cambia: domenica ricomincia il campionato e lacquisto di Quaresma diventa più attraente del sorriso della Quintavalle (sì, giusto, quella del judo). Il presidente del Coni Petrucci va giustamente fiero delle 28 medaglie conquistate a Pechino e snocciola dati per spiegare che il nono posto a livello mondiale nello sport fa impallidire i nostri successi come Paese industrializzato. Vero, se non fosse - come si diceva giorni fa - che questi successi restano poi spesso fini a loro stessi: avremo sempre la nostra quota di medaglie e sarà sempre il solito miracolo. Fateci caso: i nostri eroi olimpici arrivano tutti dalla polizia o dai corpi militari, le uniche strutture in Italia che possono permettere di allenarsi con continuità e dedizione. Diversa invece è la questione se considerare lo sport una professione e dunque gli sportivi dei professionisti.
Marco Lombardo
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